Il
pensiero politico: la valorizzazione della ragione ne La ginestra
1.
Ed ora La ginestra, canto
straordinario, non solo perché innovativo
nello stile, in quanto tutto ragionato, filosofico, con poche concessioni
alle seduzioni dell’immaginazione, ma anche perché si porta a compimento quel rovesciamento del rapporto fra natura e
ragione di cui parlavo all’inizio e si chiarisce definitivamente il
pensiero politico di Leopardi, anzi, rispetto alla precedente totale chiusura, sembra aprirsi uno spiraglio nuovo, si
intravede un senso dell’azione umana nella storia.
2.
Due parole sul senso complessivo della
poesia. Anzitutto l’epigrafe, tratta dal vangelo di Giovanni, con cui si apre: kai
egàpesan oi ànthropoi mallon to skotos e to phos, e gli uomini
preferirono le tenebre alla luce. In Giovanni significa che gli uomini
preferiscono le tenebre del peccato alla luce della salvezza, ma qui il significato è di stampo chiaramente
illuminista: gli uomini preferiscono le tenebre dell’ignoranza perché hanno
paura di guardare la verità alla luce della ragione. Leopardi è esplicitamente polemico nei confronti dei fideismi sia di
tipo religioso che di tipo laico, e, di fronte al ritorno dello
spiritualismo nell’età romantica, si richiama alla precedente età
dell’illuminismo, rivendicando il valore
imprescindibile dell’analisi razionale della realtà.
3.
La ginestra è “il fiore del deserto”, cresce sull’“arida schiena” del Vesuvio, dunque in un terreno ostile, ricoperto
dalla lava, memoria perenne della potenza distruttiva del vulcano. A tale
potenza distruttiva la ginestra, col suo colore vivo e col suo profumo, sembra
opporre resistenza, proprio perché
umile, proprio perché consapevole della propria debolezza e del destino che l’attende
alla prossima eruzione. La ginestra è il simbolo di chi guarda in faccia
con coraggio la verità della condizione umana e non si fa illusioni
consolatorie né di tipo religioso né di tipo laico-progressista. Sentite questi
versi:
(…) A queste piagge
venga colui che d'esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all'amante natura. E la possanza
qui con giusta misura
anco estimar potrà dell'uman seme,
cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
con lieve moto in un momento annulla
in parte, e può
con moti
poco
men lievi ancor subitamente
annichilare
in tutto.
Dipinte
in queste rive
son
dell'umana gente
le
magnifiche sorti e progressive.
4.
“Le
magnifiche sorti e progressive” è in corsivo nel testo, perché si tratta di
una citazione tratta da uno scritto di un suo cugino, il pesarese Terenzio
Mamiani, e sono parole che Leopardi riporta con ironia, come è ben chiaro dal
testo.
Il
pensiero politico: la poesia “stellare” de La
ginestra
5.
Più oltre c’è una strofa bellissima, laddove
il poeta dice che a volte si siede di
notte su questo terreno indurito dalla lava e guarda il cielo stellato.
Guarda le costellazioni lontane anni luce, guarda quei “nodi di stelle” che sembrano nebbia, e quindi rovescia lo sguardo,
immagina di guardare la terra da quelle lontananze infinite e capisce quanto
insignificante sia il nostro pianeta, un
granello di polvere nell’universo e quindi quanto risibile sia la presunzione dell’uomo che si ritiene (ora come
nelle età antiche) privilegiato dalla divinità:
Sovente in queste rive,
che, desolate, a bruno
veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
seggo la notte; e sulla mesta landa
in purissimo azzurro
veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
cui di lontan fa specchio
il mare, e tutto di scintille in giro
per lo vòto seren brillar il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
ch'a lor sembrano un punto,
e sono immense, in guisa
che un punto a petto a lor son terra e mare
veracemente; a cui
l'uomo non pur, ma questo
globo ove l'uomo è nulla,
sconosciuto è del tutto; e quando miro
quegli ancor più senz'alcun fin remoti
nodi quasi di stelle,
ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
e non la terra sol, ma tutte in uno,
del numero infinite e della mole,
con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
o sono ignote, o così paion come
essi alla terra, un punto
di luce nebulosa; al pensier mio
che sembri allora, o prole
dell'uomo? E rimembrando
il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
che te signora e fine
credi tu data al Tutto, e quante volte
favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
per tua cagion, dell'universe cose
scender gli autori, e conversar sovente
co' tuoi piacevolmente, e che i derisi
sogni rinnovellando, ai saggi insulta
fin la presente età, che in conoscenza
ed in civil costume
sembra tutte avanzar; qual moto allora,
mortal prole infelice, o qual pensiero
verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
6.
L’uomo che immagina che gli autori “dell’universe cose” scendano su questo
granello di sabbia a conversare con lui è senz’altro l’uomo pagano; ma come non vedere anche un riferimento
all’uomo cristiano che ha concepito ugualmente un dio che si fa uomo e che su
questo granello di sabbia conversa con gli altri uomini?
Il
pensiero politico: la nuova apertura de La
ginestra
7.
Ma ora, ecco l’aspetto politico, la riflessione sul senso dell’azione umana
almeno per ridurre, se non per eliminare, la condizione di infelicità, il male
di vivere. Ed è un discorso che si riallaccia a quanto diceva Plotino a
Porfirio, nell’operetta morale prima citata: uniamoci, amico mio, e
sosteniamoci a vicenda in questa comune lotta contro la natura avversa. Qui
Leopardi dice che solo a partire dalla
consapevolezza della fragilità della condizione umana, senza stupidi orgogli e
presunzioni, si può progettare una società migliore; solo capendo che gli
uomini devono essere uniti, essere “confederati”,
al di là di ogni differenza di nazionalità, di classe, di religione, contro il comune nemico che è la natura;
capendo che attribuire ad altri uomini la colpa della propria infelicità e
quindi combatterli – come è sempre successo nella storia – è come se, in un
accampamento assediato dal nemico, gli assediati si mettessero a combattersi a
vicenda:
Nobil natura è quella
che a sollevar s'ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra se nel soffrir, nè gli odii e l'ire
fraterne,
ancor più gravi
d'ogni altro danno, accresce
alle
miserie sue, l'uomo incolpando
del
suo dolor, ma dà la colpa a quella
che
veramente è rea, che de' mortali
madre
è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l'umana compagnia,
tutti
fra se confederati estima
gli
uomini, e tutti abbraccia
con
vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune. Ed alle offese
dell'uomo armar la destra, e laccio porre
al vicino ed inciampo,
stolto crede così, qual fora in campo
cinto d'oste contraria, in sul più vivo
incalzar degli assalti,
gl'inimici obbliando, acerbe gare
imprender con gli amici,
e sparger fuga e fulminar col brando
infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell'orror che primo
contra l'empia natura
strinse i mortali in social catena,
fia ricondotto in parte
da verace saper, l'onesto e il retto
conversar
cittadino,
e
giustizia e pietade, altra radice
avranno
allor che non superbe fole,
ove fondata probità del volgo
così star suole in piede
quale star può quel ch'ha in error la sede.
8.
Solo il “verace sapere” può essere la radice di una società migliore,
fondata su onestà e giustizia (questo si intende quando si parla di “onesto
e retto conversar cittadino, e giustizia e pietade”), non le “superbe fole”, ovvero la illusoria e
sciocca presunzione che per l’uomo ci sia un destino di felicità, in questo o
nell’altro mondo.
9.
L’idea di una impossibile redenzione, espressa in
termini netti nella Palinodia ("Sempre... sempre..."),
subisce ne La ginestra un cambiamento
radicale, perché l’umanità cosciente si
ribella e concepisce un grandioso progetto contro la natura.
10.
Certo, più che di un progetto in positivo, si tratta
di un progetto di resistenza al male: ma lucido e disilluso,
perché non fondato su vane
"fole", ma sulla consapevolezza che dimostra Tristano nell’ultima delle Operette morali:
...calpesto la vigliaccheria degli
uomini, rifiuto ogni consolazione ed ogn’inganno puerile, ed ho il coraggio di
sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto
della vita, non dissimularmi nessuna parte dell’infelicità umana, ed accettare
tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera.
11.
E’ perciò un progetto intrinsecamente "progressivo",
perché "finché l’uomo è certo che esiste il male e lo chiama col suo
nome, il male ha trovato una soglia dove arrestarsi".
L’ultima
osservazione
12.
Ma io voglio fare un’ulteriore osservazione. E’ vero, che cosa voglia dire in positivo, cioè in
concreto, la lotta contro la natura avversa da parte degli uomini
confederati, Leopardi non lo dice esplicitamente, ma, a mio parere, lo si
deduce facilmente da ciò che è scritto nello Zibaldone, nella Palinodia,
nella stessa Ginestra: vuol dire impiegare le risorse economiche e le
energie intellettuali non per perfezionare gli armamenti, ma per, ad esempio,
bonificare i deserti, combattere la fame nel mondo, contrastare i terremoti,
curare le malattie mortali. Certo, tutto ciò, secondo il pensiero di
Leopardi, non può eliminare l’infelicità che è connaturata, abbiamo visto, allo
stesso vivere, ma è l’unico senso
giusto che uomini consapevoli possono dare alla propria vita.