martedì 5 aprile 2016

La figura dell'inetto nella letteratura fra Ottocento e Novecento (IV parte)


Senilità: la “cena dei vitelli”

1)      Leggiamo ora un passo tratto dall’episodio della cosiddetta “cena dei vitelli” (i protagonisti la chiamano così perché in quell’occasione hanno mangiato solo vitello, in  tutte le salse). Emilio ha confidato all’amico Stefano i suoi dubbi, le sue ansietà a proposito di Angiolina e chiede un consiglio. Stefano, che vuole insegnargli come si trattano le donne, come si vive con leggerezza un’avventura, gli propone di incontrarsi in quattro (lui con la donna che sta frequentando in quel momento, una certa Margherita, Emilio con Angiolina) e cenare insieme. La cena naturalmente diventa un’occasione in cui brillano la personalità sicura, la simpatia e la chiacchiera straripante di Stefano, che trova subito corrispondenza in Angiolina, mentre Margherita (mite e sottomessa) ed Emilio sono ridotti pressoché al silenzio:

Margherita si pose fra Stefano e Emilio; Angiolina sedette l'ultima in faccia a lei e, ancora in piedi, rivolse un'occhiata strana al Balli. Ad Emilio parve di sfida, ma lo scultore l'interpretò meglio: - Cara Angiolina, - le disse senza complimenti, - ella mi guarda così sperando ch'io trovi bello anche il suo naso, ma non serve (quando si sono presentati, Balli, che è uno scultore e conosce le linee del volto, le ha detto che ha dei begli occhi ma un brutto naso, che dovrebbe essere rifatto). Il suo naso dovrebbe essere fatto così. - Segnò sul tavolo, col dito bagnato nella birra, la curva che egli voleva, una linea grossa che sarebbe stato difficile figurarsi su un naso.

Angiolina guardò quella linea come se avesse voluto apprenderla, e si toccò il naso: - Sta meglio così - disse a mezza voce come se non le fosse più importato di convincere nessuno.

- Che cattivo gusto! - esclamò il Balli non potendo però tenersi dal ridere. Si capì che da quel momento Angiolina lo divertì molto. Continuò a dirle delle cose sgradevoli ma pareva lo facesse per provocarla a difendersi. Ella stessa ci si divertiva. Nel suo occhio c'era per lo scultore la medesima benevolenza che brillava in quello di Margherita; una donna copiava l'altra, ed Emilio, dopo aver cercato invano di cacciare qualche parola nella conversazione generale, era ora intento a domandarsi perché avesse organizzata quella adunanza.

Ma il Balli non lo aveva dimenticato. Seguì il suo sistema, che pareva dovesse essere la brutalità, persino col cameriere. Lo sgridò perché non gli offriva di cena altro che vitello in tutte le salse; rassegnatosi a prenderne, gli diede i suoi ordini e quando il cameriere stava già per uscire dalla stanza, gli gridò dietro in un nuovo comico accesso d'ira ingiustificata: - Bastardo, cane! - Il cameriere si divertì a esser sgridato da lui ed eseguì tutti i suoi ordini con una premura straordinaria. Così, avendo domato tutti intorno a sé, al Balli parve d'aver dato ad Emilio una lezione in piena regola. (dunque la lezione consiste nel trattare gli altri, in particolare le donne, con brutalità, da superiore ad inferiore)

Ma a costui non riuscì d'applicare quei sistemi neppure nelle cose più piccole. Margherita non voleva mangiare: - Bada, disse il Balli, - è l'ultima sera che passiamo insieme; non posso soffrire le smorfie io! - Ella acconsentì che si facesse da cena anche per lei; tanto presto le venne l'appetito che ad Emilio sembrò di non avere avuto giammai da Angiolina un tale segno di affetto. Intanto anche questa, dopo lunga esitazione, aveva dichiarato di non volerne sapere di vitello

- Hai inteso, - le disse Emilio, - Stefano non può soffrire le smorfie. - Ella si strinse nelle spalle; non le importava di piacere a nessuno, e ad Emilio parve che il disprezzo fosse diretto piuttosto a lui che al Balli. (Emilio, un po’ comicamente, si è subito adeguato alla imposizione di Stefano; Angiolina invece, che è uno spirito libero, non ci pensa nemmeno, anzi disprezza Emilio perché ne riconosce la sudditanza nei confronti di Stefano)

- Questa cena di vitelli - disse il Balli con la bocca piena guardando in faccia gli altri tre - non è precisamente una cosa molto armonica. Voi due stonate insieme; tu nero come il carbone, ella bionda come una spiga alla fine di Giugno, sembrate messi insieme da un pittore accademico. Noi due poi si potrebbe metterci sulla tela col titolo: Granatiere con moglie ferita.

Con sentimento molto giusto, Margherita disse: - Non si va mica insieme per farsi vedere dagli altri. - Il Balli, serio e brusco anche in quell'atto affettuoso, le diede in premio un bacio sulla fronte.

Angiolina, con un pudore nuovo, s'era messa a contemplare il soffitto. - Non faccia la schizzinosa, - le disse il Balli corrucciato. - Come se voi due non faceste di peggio.

- Chi lo dice? - chiese Angiolina subito minacciosa verso Emilio

- Io no - protestò poco felicemente il Brentani.

- E che cosa fate insieme tutte le sere? Io non lo vedo mai dunque è con lei ch'egli passa le sue serate. Ha da capitargli anche l'amore, in quella verde età! Addio bigliardo, addio passeggiate. Io resto solo ad aspettarlo o bisogna m'accontenti del primo imbecille che mi viene per i versi. Ci eravamo trovati tanto bene insieme! Io, la persona più intelligente della città e lui la quinta, perché dopo di me vi sono tre posti vuoti e subito al prossimo c'è lui.

Margherita, che in seguito a quel bacio aveva riacquistata tutta la sua serenità, ebbe per Emilio un'occhiata affettuosa - Davvero! Mi parla continuamente di lei. Le vuole molto bene

Invece ad Angiolina parve che la quinta intelligenza della città fosse poca cosa, e conservò tutta la sua ammirazione per chi ne era la prima. - Emilio mi ha raccontato ch'ella canta tanto bene. Canti un po'. L'udrei tanto volentieri.

- Non mi mancherebbe altro. Dopo di cena io riposo. Ho la digestione difficile come quella di un serpente (i due sono simili: Stefano si rifiuta ad una richiesta di Angiolina così come poco prima lei si era rifiutata di compiacere lui; laddove da parte di Margherita ed Emilio ci sono solo sottomissione e consenso).

Margherita sola intuì lo stato d'animo di Emilio. I suoi occhi, posandosi su Angiolina, divennero serii; poi si rivolse ad Emilio, si dedicò a lui, ma per parlargli di Stefano: - Talvolta è brusco, certo, ma non sempre, e anche quando lo è non incute spavento. Si fa quello che vuole lui, perché gli si vuol bene. Poi, sempre a voce bassa, modulata dolcemente, ella disse: Un uomo che pensa è tutt'altra cosa di quelli che non pensano. - Si capiva che parlando di quegli altri, pensava a gente in cui s'era imbattuta ed egli, distratto per un istante dal suo doloroso imbarazzo, la guardò con compassione. Ella aveva ragione d'amare negli altri le qualità che le giovavano; da sola, così dolce e debole, non si sarebbe potuta difendere (Margherita è sensibile, capisce che la debolezza di Emilio è simile alla propria; chi non lo capisce è Emilio, che prova compassione per lei e invece dovrebbe provarla anche per se stesso).

Ma il Balli si ricordò di nuovo di lui: - Come sei ammutolito! - Poi, rivolto ad Angiolina, chiese: - E’ sempre così nelle lunghe sere che passate insieme?

Ella che pareva dimentica dei suoi inni d'amore, disse con malumore: - E’ un uomo serio.

Il Balli ebbe la buona intenzione di risollevarlo: ne tessé la biografia caricandola: - Come bontà è lui il primo ed io il quinto. E’ il solo maschio col quale io abbia saputo andar d'accordo. E’ il mio alter ego, il mio altro io, pensa come me, e... è sempre del mio parere quando io subito non so essere del suo. - All'ultima frase aveva dimenticato il proposito col quale aveva cominciato a parlare (ha sottolineato la debolezza di Emilio, la sua incapacità di imporsi, la sua subalternità ad una personalità più forte) e, di buon umore, schiacciava Emilio sotto il peso della propria superiorità. Quest'ultimo non seppe far altro che comporre la bocca ad un sorriso.

Poi sentì che sotto quel sorriso doveva essere ben facile d'indovinare uno sforzo e, per simulare meglio disinvoltura, volle parlare. S'era discorso, - egli non sapeva neppure da chi, - di far posare Angiolina per una figura che il Balli ideava. Egli era d'accordo: - Si tratta già di copiare la sola testa - disse ad Angiolina come se non avesse saputo che ella avrebbe accordato anche di più. Ma ella, senza interpellarlo, mentre egli era stato distratto dai discorsi di Margherita, aveva già accettato, e, bruscamente, interruppe le parole di Emilio, che, per nulla spontanee, s'erano disposte in una perorazione fuori di luogo, esclamando: - Ma se ho già accettato (di grande comicità: l’intervento di Emilio è stato ridicolizzato).

Il Balli ringraziò e disse che ne avrebbe sicuramente approfittato, ma soltanto di a qualche mese, perché, per il momento, era troppo occupato con altri lavori (il Balli è superiore, non si concede con facilità). La guardò lungamente sognando la posa in cui l'avrebbe ritratta e Angiolina divenne rossa dal piacere. Almeno Emilio avesse avuto un compagno di sofferenza. Ma no! Margherita non era affatto gelosa, e guardava Angiolina anche lei con l'occhio d'artista. Stefano ne avrebbe fatta una cosa bella, disse, e parlò con entusiasmo delle sorprese che le aveva date l'arte, quando dall'argilla docile usciva una faccia, un'espressione, la vita.

Il Balli presto si rifece brusco. - Lei si chiama Angiolina? Un vezzeggiativo con codesta statura da granatiere? Angiolona la chiamerò io, anzi Giolona. - E da allora la chiamò sempre così con quelle vocali larghe, larghe, il disprezzo stesso fatto suono. Emilio si sorprese che il nome non dispiacesse ad Angiolina; ella non se ne adirò mai e quando il Balli glielo urlava nelle orecchie, rideva come se qualcuno le avesse fatto il solletico.

2)      E’ dunque evidente che alla “cena dei vitelli” le coppie si compongono in modo diverso: da una parte Stefano e Angiolina, accomunati da una esuberante vitalità, dalla sicurezza di sé (si sono come annusati all’inizio, con diffidenza, ma poi si sono riconosciuti simili, Angiolina si diverte, ride, non si adira quando lui la chiama Giolona con tono sprezzante); dall’altra Stefano e Margherita, accomunati dalla debolezza di carattere, dalla insicurezza, di cui Margherita sembra più consapevole di Emilio).

Senilità: le anticipazioni mentali dell’inetto

3)      Uno dei modi in cui si manifesta l’inettitudine, abbiamo detto, è quello di progettare dei discorsi che poi l’inetto non riesce a fare, anticipare mentalmente delle parole che poi non riesce a dire, ad immaginare atteggiamenti di superiorità che non riesce a tenere. C’è un bell’episodio in Senilità, ed è quando il Balli, una sera, avverte l’amico Emilio di avere appena visto Angiolina in affettuosa compagnia di un uomo (l’ombrellaio, un negoziante che vende ombrelli). Emilio finge indifferenza, dice che ci penserà nei giorni successivi, per ora ha troppo sonno e intende andare a dormire:

Si diresse verso casa per andare a coricarsi.

Ma, giunto al Chiozza, si fermò a guardare verso la stazione, la parte della città ove Angiolina faceva all'amore con l'ombrellaio. - Eppure - pensò e pensò l'idea e le parole - sarebbe bello ch'ella passasse per di qua ed io potessi subito dirle che fra di noi tutto è finito. Allora sì che tutto sarebbe finito ed io potrei andare a dormire veramente calmo. Per di qua deve passare! S'appoggiò ad un paracarro e quanto più attendeva, tanto più forte si faceva la sua speranza di vederla quella stessa notte.

Per essere pronto pensò anche le parole che le avrebbe dirette. Dolci. Perché no? - Addio Angiolina. Io volevo salvarti e tu mi hai deriso. - Deriso da lei, deriso dal Balli! Una rabbia impotente gli gonfiò il petto. Finalmente egli si destava e tutta la rabbia e la commozione non lo addoloravano tanto come l'indifferenza di poco prima, una prigionia del proprio essere impostagli dal Balli (prima, appunto, ha finto indifferenza, per mostrare a Balli la propria superiorità; ma quella indifferenza l’aveva fatto soffrire). Dolci parole ad Angiolina? Ma no! Poche e durissime e fredde. - Io sapevo già ch'eri fatta così. Non mi sorprese affatto. Domandalo al Balli. Addio.

Camminò per calmarsi perché al pensare quelle fredde parole s'era sentito bruciare. Non offendevano abbastanza! Con quelle parole non offendeva che se stesso; si sentiva venire le vertigini. - Così si uccide - pensò - non si parla. - Una grande paura di se stesso lo calmò. Sarebbe stato ugualmente ridicolo anche uccidendola, si disse, come se egli avesse avuto un'idea da assassino. Non la aveva avuta; ma, rassicuratosi, si divertì a figurarsi vendicato con la morte di Angiolina. Quella sarebbe stata la vendetta che avrebbe fatto obliare tutto il male di cui ella era stata l'origine. Dopo, egli avrebbe potuto rimpiangerla, e lo pervase una commozione che gli cacciò le lagrime agli occhi (il pensiero della morte che poi suscita il rimpianto dell’innamorato, è anche presente, seppure con rapporti diversi, nel finale di Una vita).

Pensò che con Angiolina egli avrebbe dovuto seguire lo stesso sistema adottato col Balli. Quei due suoi nemici dovevano essere trattati nello stesso modo (sente come nemico anche il Balli, che pure è il suo amico da sempre; ma da sempre da una parte ne disprezza la mediocre intelligenza, dall’altra ne invidia la facilità del vivere). A lei egli avrebbe detto che non l'abbandonava causa il tradimento ch'egli s'era atteso, ma per il sozzo individuo ch'ella aveva scelto a suo rivale. Egli non voleva più baciare dove aveva baciato l'ombrellaio. Finché s'era trattato del Balli, del Leardi e magari del Sorniani, aveva chiuso un occhio, ma l'ombrellaio! Nell'oscurità studiò la smorfia di schifo con cui avrebbe detta questa parola.

Qualunque parola egli immaginasse di dirigerle, sempre veniva colto da un convulso riso. Avrebbe continuato a parlarle così tutta la notte? Era dunque necessario di parlarle subito. Ricordò ch'era probabile che Angiolina rincasasse dalla parte di via Romagna. Col suo passo rapido egli avrebbe ancora potuto raggiungerla. Non aveva finito di pensare tutto questo e, già, lieto di poter prendere una decisione che tagliasse il dubbio che gli annebbiava la mente, si mise a correre. Il movimento dapprima gli diede un po' di sollievo. Poi rallentò il passo reso esitante da una nuova idea. Se essi rincasavano da quella parte, non sarebbe stato più sicuro, per ritrovarli, di salire alla via Fabio Severo dalla parte del Giardino Pubblico e discenderne andando loro incontro per via di Romagna? La corsa non gli faceva paura e avrebbe impreso quel giro enorme; ma in quella gli parve di veder passare dinanzi al caffè Fabris Angiolina accompagnata da Giulia e da un uomo che doveva essere l'ombrellaio. A tanta distanza riconobbe la fanciulla saltellante graziosamente come quando voleva piacere a lui. Cessò di correre perché aveva tutto il tempo per raggiungerli. Poté anche pensare senza esasperarsi le parole che le avrebbe dirette subito. Perché circondare quell'avventura di tanti particolari e pensieri strani? Era un'avventura solita, e di là a pochi minuti sarebbe stata liquidata nel modo più semplice (mente a se stesso: per lui non è certo un’avventura solita, e sta dimostrando con la miriade di pensieri che gli frullano per la testa che non è per niente semplice liquidarla).

Giunto sotto all'erta di via Romagna, non vide più le persone che dovevano averla già passata. Camminò più presto colto da un dubbio che l'affannò quanto la salita. E se non fosse stata Angiolina? Come avrebbe potuto lottare contro la propria agitazione, sempre rinascente, per tutta una notte?

Quantunque ora si trovassero a pochi passi da lui, nell'oscurità egli continuò a credere che quelle tre persone fossero quelle che egli cercava. Perciò ebbe un momento di calma. Era tanto facile di calmarsi quando poteva procedere subito ad un'azione! Quel gruppo ricordava quell'altro di cui il Balli gli aveva fatta la descrizione. In mezzo a due donne camminava un uomo grosso e tarchiato che dava il braccio a quella ch'egli aveva creduta Angiolina, e che ora però non aveva niente di caratteristico nel suo modo di muoversi. La guardò in faccia con lo sguardo calmo e ironico preparato con tanta fatica (ha preparato anche lo sguardo!). Ebbe una grande sorpresa vedendo una faccia ignota, di vecchia, asciutta asciutta.

Una delusione dolorosa. Nel desiderio di non lasciare così quel gruppo cui l'aveva attaccato tanta speranza, ebbe l'idea di chiedere a quella gente se forse non avessero visto Angiolina, e pensava già il modo con cui l'avrebbe descritta. Si vergognò! Una sola parola che avesse detta, e tutti avrebbero indovinato tutto. Continuò a camminare con passo celere che presto degenerò in corsa. Vedeva dinanzi a sé un lungo tratto di strada bianca e ricordò che, quando avrebbe girato, ne avrebbe visto un altro altrettanto lungo e poi un altro. Interminabile! Ma bisognava uscire dal dubbio e per il momento il dubbio era se Angiolina si trovasse su quella strada o altrove.

Un'altra volta pensò le frasi ch'egli le avrebbe dirette quella notte stessa o la mattina appresso. Dignitosamente (quanto più aumentava la sua agitazione, tanto più calmo egli si sognava) dignitosamente le avrebbe detto che per liberarsi di lui le sarebbe bastato di dirgli una parola, una sola parola. Non sarebbe occorso deriderlo. - Io mi sarei ritirato subito. Non mi occorreva di esser cacciato dal mio posto da un ombrellaio. - Ripeté più volte questa frase, modificandone qualche parola e cercando di perfezionare anche il suono della voce che diveniva sempre più ironico e tagliente. Cessò quando s'accorse che, per lo sforzo di trovare l'espressione, urlava.

4)       Ovviamente quella sera non incontra Angiolina. La va a cercare il giorno dopo, la trova in casa e, per quanto lei menta in vari modi (sostenuta dalla madre, che le tiene bordone), lui riesce a dirle: “Quando avrò riacquistato la mia calma potremo anche rivederci. Ma per lungo tempo è meglio che restiamo divisi.” Ma è appena uscito dalla stanza che si tormenta all’idea di non poterla rivedere, soprattutto perché gli pare di averle sentito emettere un gemito di dolore al vederlo allontanarsi. Ovviamente non sa resistere e dopo qualche tempo, incontrandola per strada, le chiede di accompagnarla e riprende la relazione, sempre tormentandosi perché non può non vedere gli indizi dei suoi tradimenti (arriva tardi agli appuntamenti, sembra conoscere l’affittacamere della casa di malaffare dove lui la conduce, usa delle espressioni che deve avere assimilato da qualche nuovo conoscente – può essere uno studente, visto che conosce delle canzoni goliardiche ed usa qualche latinismo; o un veneziano, visto che usa qualche parola in dialetto veneziano).

Senilità: l’ultimo appuntamento

5)       Mentre Amalia sta morendo, Emilio si ricorda di avere un appuntamento con Angiolina e, malgrado Balli (Emilio è andato a cercarlo per farsi aiutare, quando ha visto Amalia in quelle condizioni) cerchi di dissuaderlo, insiste dicendo che intende lasciarla definitivamente e immaginando di offrire alla sorella quella rottura come un “olocausto”. Balli lo lascia andare, facendosi promettere che non farà scenate alla ragazza:

Aveva risposto alle nuove raccomandazioni del Balli con un nuovo sorriso. L'aria rigida della sera lo scosse, lo refrigerò fino in fondo all'anima. Lui usare delle violenze ad Angiolina! Perché era lei la causa della morte d'Amalia? Ma quella colpa non poteva esserle rimproverata. Oh, il male avveniva, non veniva commesso. Un essere intelligente non poteva essere violento perché non v'era posto a odii. Per l'antica abitudine di ripiegarsi su se stesso e analizzarsi, gli venne il sospetto che forse il suo stato d'animo era risultato dal bisogno di scusarsi e di assolversi. Ne sorrise come di cosa comicissima. Come erano stati colpevoli lui e Amalia di prendere la vita tanto sul serio!

6)      Si sta giustificando: dice che il male accade senza che nessuno lo commetta, cioè a prescindere da responsabilità individuali; parla della non colpevolezza di Angiolina, in realtà vuole assolvere se stesso, perché si sente colpevole di avere trascurato la sorella al punto di non accorgersi che si stava stordendo con l’etere. Il sospetto gli viene, ma lo esorcizza sorridendone come di cosa comica e pensando che non poteva essere colpevole chi, come lui e la sorella, prendeva la vita tanto sul serio. Ma quell’ultima frase è carica di ambiguità. Emilio sembra avvertire confusamente che proprio lì sta il problema (e la colpa!), nell’aver represso, lui e la sorella, pulsioni e desideri naturali, nell’essere stati vittime della “serietà” di un moralismo piccolo-borghese, in definitiva nell’essersi negati alla vita: lì sta l’origine del male, che provoca la sofferenza di Emilio e conduce Amalia alla morte.

Alla riva, dopo di aver guardato l'orologio, si fermò. Qui il tempo appariva peggiore che non in città. Al sibilare del vento si univa imponente il clamore del mare, un urlo enorme composto dall'unione di varie voci più piccole. La notte era fonda; del mare non si vedeva che qua e biancheggiare qualche onda che il caos aveva voluto infranta prima di giungere a terra. Sui battelli, alla riva, si era sull'attenti e si vedeva qualche figura di marinaio, in alto, su quegli alberi che facevano la solita varia danza nelle quattro direzioni, lavorare nella notte e nel pericolo.

Ad Emilio parve che quel tramestìo si confacesse al suo dolore. Vi attingeva ancora maggiore calma. L'abito letterario gli fece pensare il paragone fra quello spettacolo e quello della propria vita. Anche , nel turbine, nelle onde di cui una trasmetteva all'altra il movimento che aveva tratto lei stessa dall'inerzia, un tentativo di sollevarsi che finiva in uno spostamento orizzontale, egli vedeva l'impassibilità del destino. Non v'era colpa, per quanto ci fosse tanto danno (a parte la sottolineatura dell’abitudine a vedere la realtà attraverso schemi letterari, Emilio ribadisce il bisogno di auto-assolversi: non c’è colpa, c’è l’ineluttabilità del destino, come un’onda è sospinta dall’altra senza che possa farci niente).

Accanto a lui un grosso marinaio piantato solidamente sulle gambe coperte di stivaloni, urlò verso il mare un nome. Poco dopo gli rispose un altro grido; egli allora si gettò su una colonna vicina, ne slegò una gomena che v'era attortigliata, l'allentò e la saldò di nuovo. Lentamente, quasi impercettibilmente, uno dei maggiori bragozzi si allontanò dalla riva ed Emilio comprese ch'era stato attaccato ad una boa vicina per salvarlo dalla terra.

Il grosso marinaio prese ora tutt'altra attitudine; s'era appoggiato alla colonna, aveva accesa la pipa e in quel diavoleto si godeva il suo riposo.

Emilio pensò che la sua sventura era formata dall'inerzia del proprio destino. Se, una volta sola nella sua vita, egli avesse avuto da slegare e riannodare in tempo una corda; se il destino di un bragozzo, per quanto piccolo, fosse stato affidato a lui, alla sua attenzione, alla sua energia; se gli fosse stato imposto di forzare con la propria voce i clamori del vento e del mare, egli sarebbe stato meno debole e meno infelice (cerca ancora di giustificare la propria inettitudine, accusando il destino, o la natura, che ha fatto di lui un intellettuale piccolo borghese e non un marinaio con compiti semplici e concreti: così si è autoassolto, io sono fatto così, non ho colpe; e sfugge alle sue responsabilità sia di fronte alla sorella, sia di fronte ad Angiolina).

Andò all'appuntamento. (…) Non c'era dolore in quell'ora in cui egli poteva fare proprio quello che la sua natura esigeva. Assaporava con voluttà quel sentimento calmo di rassegnazione e di perdono. Non pensò nessuna frase per comunicare il suo stato d'animo ad Angiolina; anzi il loro ultimo abboccamento doveva esserle assolutamente inesplicabile, ma egli avrebbe agito come se qualche essere più intelligente fosse stato presente a giudicare lui e lei.

Il tempo s'era risolto in un vento freddo e violento, ma continuo, uguale; nell'aria non c'era più alcuna lotta.

Angiolina gli venne incontro dal viale di Sant'Andrea. Vedendolo esclamò con grande stizza - una stonatura dolorosa nello stato d'animo di Emilio: - Son qui da mezz'ora. Ero in procinto di andarmene.

Egli, dolcemente, la trasse accanto ad un fanale e le fece vedere l'oriuolo che segnava precisamente l'ora stabilita per l'appuntamento.

- Allora mi sono ingannata - disse ella, non molto più dolcemente. Mentre egli andava studiando il modo con cui dirle che quello sarebbe stato l'ultimo loro incontro, ella si fermò e gli disse: - Per questa sera dovresti lasciarmi andare. Ci vedremo domani; fa freddo e poi...

Egli fu strappato all'indagine che sempre continuava su se stesso e la guardò, la osservò; comprese subito che non era il freddo che le faceva desiderare d'andarsene. Lo colpì inoltre di trovarla vestita con maggior accuratezza del solito. Un vestito bruno che non le aveva mai visto, elegantissimo, sembrava tirato fuori per qualche grande occasione; anche il cappello gli sembrò nuovo, e osservò persino delle scarpettine poco adatte per camminare a Sant'Andrea con quel tempo. - E poi? - ripeté egli fermandosele accanto e guardandola negli occhi.

- Senti, voglio dirti tutto - disse lei assumendo un aspetto di confidenza risoluta, assolutamente fuori di posto e continuò imperterrita, senz'accorgersi che lo sguardo di Emilio si faceva sempre più torvo: - Ho ricevuto un dispaccio dal Volpini con cui m'annunzia il suo arrivo. Non so che cosa egli voglia da me; ma a quest'ora, certo, si trova già a casa mia. (Volpini è il fidanzato ufficiale, il promesso sposo. E’ stato lo stesso Emilio a suggerirle di sposarsi per poi avere lui come amante, salvo poi tormentarsi di dubbi e gelosie quando la vede subito ben disposta a questa soluzione. E infatti lei si serve spesso della scusa del Volpini per andare ad altri appuntamenti)

Ella mentiva, non v'era alcun dubbio. (…) Sconvolto, rise triste: - Come? Colui che ieri ti scrisse quella lettera, oggi capita a ritirarla in persona ed anzi ti avvisa la sua venuta telegraficamente. Grandi affari! Grandi affari! Da dover ricorrere al telegrafo! E se tu ti ingannassi e in luogo del Volpini fosse un altro?

Ella sorrise ancora sicura di sé: - Ah, a te è stato raccontato dal Sorniani, che due sere fa mi ha visto a ora tarda sulla via, accompagnata da un signore? Avevo lasciata la casa dei Deluigi (sono degli amici di famiglia, dove lei dice di andare tutte le volte che ha appuntamenti con altri uomini) in quel momento, e avendo paura di camminar sola di notte, quella compagnia mi riuscì comoda. - Egli non l'udiva, ma l'ultima frase di quella ch'ella credeva fosse una giustificazione, la udì e, per la sua stranezza, la ritenne: - Quello era un Deo gratias qualunque. - Poi continuò: - Peccato che ho dimenticato a casa il dispaccio. Ma se non mi vuoi credere, tanto peggio. Non vengo forse sempre puntuale a tutti gli appuntamenti? Perché oggi avrei da inventare delle frottole per mancarvi?


- Oggi tu hai un altro appuntamento. Vattene presto! C'è qualcuno che t'attende.

- Ebbene, se credi di me questa cosa, è meglio ch'io me ne vada! - Parlava risoluta, ma non si mosse. (dunque, anche nella rottura non è lui che decide, ma lei; e lui, a dispetto di tutti i propositi di mostrare una calma superiore, non sopporta questo ultimo attestato della sua inferiorità; la sua rabbia esplode, eppure era venuto all’appuntamento col proposito di non essere violento perché lei non aveva nessuna colpa, visto che “il male accadeva, non veniva commesso”)

Le parole fecero a lui lo stesso effetto come se fossero state accompagnate dall'atto immediato. Ella voleva lasciarlo! - Aspetta prima un istante, che ci spieghiamo! - Anche nell'ira enorme che lo pervadeva tutto, egli pensò un momento se non fosse tuttavia possibile di ritornare allo stato di calma rassegnata in cui s'era trovato poco prima. Ma non sarebbe stato giusto di atterrarla e calpestarla? L'afferrò per le braccia per impedirle di andare, s'appoggiò al fanale che aveva dietro di sé e avvicinò la propria faccia sconvolta a quella di lei rosea e tranquilla. - E' l'ultima volta che ci vediamo! - urlò

- Sta bene, sta bene - disse ella occupata soltanto a liberarsi di quella stretta che le faceva male. - E sai perché? Perché tu sei una... - Esitò un istante, poi urlò quella parola che persino alla sua ira era sembrata eccessiva, la urlò vittorioso, vittorioso del suo stesso dubbio.

- Lasciami - gridò ella sconvolta dalla rabbia e dalla paura - lasciami o chiamo aiuto.

- Tu sei una... - replicò egli che finalmente, vedendola irritata, poteva rinunziare a percuoterla. - Ma credi dunque che io da lungo tempo non mi sia accorto con chi abbia avuto da fare Quando ti trovavo vestita da serva, sulle scale di casa tua -rammentò quella sera in tutti i particolari - con quello scialle grezzamente colorito sulla testa, le braccia calde di alcova, pensai subito la parola che ora t'ho detta (lei una volta si era travestita in quel modo per non farsi riconoscere, andando ad incontrare un altro uomo). Non volli dirtela e giuocherellai con te (mente: altro che gioco, noi sappiamo con che intensità e drammaticità ha vissuto quell’avventura) come facevano tutti gli altri, Leardi, Giustini, Sorniani e... e... il Balli.

- Il Balli! - rise ella urlando per farsi udire attraverso al rumore del vento e della voce d'Emilio. - Il Balli si vanta; non è vero niente.

- Perché lui non volle, quello sciocco, per riguardo a me come se a me potesse importare che t'abbia posseduta un uomo di meno, te... - e per la terza volta le disse quella parola Ella raddoppiò gli sforzi per svincolarsi, ma lo sforzo di trattenerla era ora per Emilio lo sfogo migliore; le cacciava con voluttà le dita nelle braccia morbide.

Egli sapeva che il momento in cui l'avrebbe lasciata libera, ella se ne sarebbe andata e tutto sarebbe stato finito, tutto e in modo tanto differente da quello ch'egli aveva sognato. - Ed io ti ho voluto bene - disse, forse tentando di mitigarsi, ma aggiunse subito: - Sempre però sapevo quello che tu sei. Sai quello che sei? - Oh, aveva trovata infine una soddisfazione bisognava obbligarla a confessare quello ch'ella era: - Di' su. Che cosa sei?

Ella ora, apparentemente estenuata, aveva paura; la faccia sbiancata, lo fissava con uno sguardo che chiedeva compassione. Si lasciava scuotere senza resistenza e a lui parve ch'ella stesse per cadere. Allentò la stretta e la sostenne. Tutt'ad un tratto ella si svincolò e si mise a correre disperatamente. Ella dunque aveva mentito ancora! Egli non avrebbe saputo raggiungerla; si chino, cercò un sasso, e non trovandone raccolse delle pietruzze che le scagliò dietro. Il vento le portò e qualcuna dovette colpirla perché ella gettò un grido di spavento; altre furono arrestate dai rami secchi degli alberi e produssero un rumore sproporzionatissimo all'ira che le aveva lanciate (il ridursi al gesto puerile di tirarle una manciata di sassolini è l’ultimo suggello alla sua impotenza).

Che fare ora? L'ultima soddisfazione cui aveva anelato, gli era stata negata. Ad onta di tanta sua rassegnazione tutto intorno a lui rimaneva rude, senza dolcezza; egli stesso era brutale! Le arterie gli battevano dalla sovraeccitazione; in quel freddo egli ardeva d'ira, di febbre, immobile sulle gambe paralitiche e già era rinato in lui l'osservatore calmo che lo rimproverava.

- Non la rivedrò mai più - disse come per rispondere ad un rimprovero. - Mai! Mai! - E quando poté camminare, questa parola gli risuonò nel rumore dei propri passi e nel sibilo del vento sul paesaggio sconsolato. Sorrise da solo ripassando per i luoghi per cui era venuto e ricordando le idee che lo avevano accompagnato a quell'appuntamento. Come rimaneva sorprendente la realtà!

Non andò subito a casa. Gli sarebbe stato impossibile d'atteggiarsi ad infermiere in quello stato d'animo. Il sogno lo possedeva intero, tanto che non avrebbe saputo dire per quali vie fosse poi rincasato. Oh! Se l'abboccamento con Angiolina fosse stato quale egli l'aveva voluto, avrebbe potuto andare diritto al letto d'Amalia senz'alterare neppure l'espressione della propria faccia.

Scoperse una nuova analogia fra la sua relazione con Angiolina e quella con Amalia. Da entrambe egli si distaccava senza poter dire l'ultima parola che avrebbe addolcito almeno il ricordo delle due donne. Amalia non poteva udirla; ad Angiolina egli non aveva saputo dirla.

7)      Nell’immaginazione di Emilio sono affiancate, si fondono e confondono, le due donne della sua vita: la sorella e l’amante, figura materna l’una, immagine dell’eros l’altra. Sono affiancate e accomunate dal fatto che ad entrambe Emilio non è riuscito a dire l’ultima parola. Ma quell’ultima parola mancata è l’attestazione di un fallimento complessivo, sul piano dei rapporti affettivi ed amorosi. Ha lasciato sola la sorella morente con l’intenzione di offrirle in “olocausto” la rottura con Angiolina, ma nell’ultimo incontro la rottura la subisce, non la determina. Ha progettato di mostrarsi calmo e superiore con Angiolina, ma invece di mantenere la calma si è lasciato andare ad una ridicola violenza. La verità è che non ha saputo amare né l’una né l’altra.

Senilità: la pagina finale

8)      Ma la fusione e confusione fra le due donne nella mente di Emilio ha il suo compimento nel finale del romanzo. Amalia è morta, Angiolina è fuggita col cassiere infedele di una banca. Emilio ne soffre, pensa con dolore sia all’una che all’altra. Col tempo però il dolore si affievolisce, Emilio rientra nella sua vita “senile”, ma nella sua immaginazione (di “letterato ozioso”, dice il narratore) Angiolina subisce una strana trasformazione:

Lungamente la sua avventura lo lasciò squilibrato, malcontento. Erano passati per la sua vita l'amore e il dolore e, privato di questi elementi, si trovava ora col sentimento di colui cui è stata amputata una parte importante del corpo. Il vuoto però finì coll'essere colmato.  Rinacque in lui l'affetto alla tranquillità, alla sicurezza, e la cura di se stesso gli tolse ogni altro desiderio.

Anni dopo egli s'incantò ad ammirare quel periodo della sua vita, il più importante, il più luminoso. Ne visse come un vecchio del ricordo della gioventù. Nella sua mente di letterato ozioso,  Angiolina subì una metamorfosi strana. Conservò inalterata la sua bellezza, ma acquistò anche tutte le qualità d'Amalia che morì in lei una seconda volta. Divenne triste, sconsolatamente inerte, ed ebbe l'occhio limpido ed intellettuale. Egli la vide dinanzi a sé come su un altare, la personificazione del pensiero e del dolore e l'amò sempre, se amore è ammirazione e desiderio. Ella rappresentava tutto quello di nobile ch'egli in quel periodo avesse pensato od osservato.

Quella figura divenne persino un simbolo. Ella guardava sempre dalla stessa parte, l'orizzonte, l'avvenire da cui partivano i bagliori rossi che si riverberavano sulla sua faccia rosea, gialla e bianca. Ella aspettava! L'immagine concretava il sogno ch'egli una volta aveva fatto accanto ad Angiolina e che la figlia del popolo non aveva compreso.

Quel simbolo alto, magnifico, si rianimava talvolta per ridivenire donna amante, sempre però donna triste e pensierosa. Sì! Angiolina pensa e piange! Pensa come se le fosse stato spiegato il segreto dell'universo e della propria esistenza; piange come se nel vasto mondo non avesse più trovato neppure un Deo gratias qualunque.

9)      Finalmente, nel ricordo, Emilio realizza la sua aspirazione di sempre: fonde, nell’immagine trasfigurata di Angiolina, la donna-madre e la donna-sesso. E’ quello che ha sempre cercato di fare, idealizzandola sin dall’inizio e poi chiamandola Ange. Ma ora non c’è realtà che può smentire questa sua idealizzazione (o divinizzazione, visto che Emilio la vede come “su un altare”). Angiolina non solo ha acquisito “tutte le qualità di Amalia”, ma anche “divenne triste” ed “ebbe l’occhio limpido e intellettuale”: tutte cose, lo sappiamo, assolutamente estranee al carattere di Angiolina. Di più, è diventata il simbolo del sole dell’avvenire, cioè della speranza di un futuro socialista, lei che, lo sappiamo, quando Emilio aveva cercato di spiegarle la bontà del socialismo, aveva reagito con livore nei confronti degli operai, chiamandoli “invidiosi” e “fannulloni”.

10)  Dunque Emilio continua ad auto ingannarsi. E il narratore lo smaschera, impietosamente. L’ultimo paragrafo, molto discusso dai lettori, è rivelatore. Il narratore ci ha già segnalato gli auto inganni di Emilio, chiamandolo ironicamente “letterato ozioso”, definendo “strana” la metamorfosi di Angiolina, ma poi, appunto, rappresentando come simbolo del socialismo e “personificazione del pensiero e del dolore” quella che noi conosciamo come Giolona. Ora però, nelle ultime righe (“Sì! Angiolina pensa e piange! ecc.”) è il narratore stesso che commenta sarcasticamente l’idealizzazione di Emilio, non si tratta più dei pensieri di quest’ultimo: ne è spia l’uso del tempo presente, laddove invece, se si volesse riportare il pensiero di Emilio tramite il discorso indiretto libero, si userebbe il tempo imperfetto (vedi come esempio qualche passo delle pagine iniziali). Ed è quindi l’autore che si prende gioco dell’ultima mistificazione di Emilio, fa la parodia del suo pensiero: già con gli esclamativi (“Sì! Angiolina pensa e piange!”), poi con l’idea che lei possa aver capito e riflettere “sul segreto dell’universo e della propria esistenza”, in fine con l’immagine di lei che piange “come se nel vasto mondo non avesse più trovato neppure un Deo gratias qualunque”, alludendo maliziosamente al fatto che la ragazza tuttalpiù può piangere perché non trova neppure un’avventura occasionale (così lei aveva definito un tale incontrato per strada e da cui si era fatta accompagnare).

Nessun commento:

Posta un commento