martedì 5 aprile 2016

La figura dell'inetto nella letteratura fra Ottocento e Novecento (III parte)


Ripresa della lezione precedente: l’autoinganno del suicidio di Alfonso

1)      Alfonso decide di uccidersi perché non sopporta l’ultima umiliazione che ha subito: Annetta non è venuta all’appuntamento e anzi è venuto suo fratello che l’ha sfidato a duello. Ma anche nella scelta del suicidio, che è, a ben guardare, l’ultimo suggello della sua impotenza, Alfonso si auto-inganna, illudendosi di compiere un gesto di superiorità (“era la via per divenire superiore ai sospetti e agli odii”): con sicurezza, quasi con entusiasmo (“lo accettava non rassegnato ma giocondo”, e l’aggettivo “giocondo” è ripetuto subito dopo) teorizza il suicidio come una scelta razionale, filosofica, di rinuncia alla vita, come negazione della volontà di vivere, affermazione della noluntas (il riferimento a Schopenhauer sembra evidente laddove dice: “Bisognava distruggere quell'organismo che non conosceva la pace; vivo avrebbe continuato a trascinarlo nella lotta perché era fatto a quello scopo”: l’organismo di cui si parla è l’organismo vivente, determinato, secondo Schopenhauer, da una cieca e assoluta volontà di vivere, e dunque non conosce pace, è sempre impegnato nella “lotta” per la vita; il “filosofo” Alfonso vuole affermare la propria superiorità, opponendo, col suicidio, a quella forza cieca e assoluta, una non-volontà, la propria volontà di non vivere).

2)      Ma se guardiamo il passo con più attenzione vediamo che quel suicidio ha altre motivazioni: in realtà Alfonso vuole essere rimpianto da Annetta, da morto si illude di recuperare il suo affetto. Lo dice chiaramente nel paragrafo iniziale, ma anche prima, riflettendo sul fatto che lei gli aveva mandato il fratello per sfidarlo a duello, aveva concluso che solo se lui fosse morto lei si sarebbe riappacificata, l’avrebbe amato ancora (“Annetta lo voleva morto! Desiderò che le riuscisse e poi lo rimpiangesse. Sognava che l’amore per lui, senz’altra causa, un giorno le rinascesse nel cuore e che ella andasse alla sua tomba a spargervi fiori e lacrime.” – per inciso, sembra una ripresa dal Petrarca di Chiare fresche dolci acque). Dunque la teorizzazione filosofica è un auto-inganno, l’inetto mente a se stesso, o meglio, mescola verità e menzogne: la verità sta nel riconoscimento della sua incapacità di vivere, la menzogna nella copertura filosofica che cerca di dare a tale condizione.

Autoinganno e menzogna in Senilità

3)      L’auto-inganno, ovvero il mentire a se stesso per non ammettere la propria inettitudine, è una caratteristica che ritorna nei protagonisti dei romanzi successivi. In Senilità (secondo alcuni, il più bello dei romanzi di Svevo) è proprio il narratore che si incarica di svelare le menzogne di Emilio Brentani, e basta leggere la pagina iniziale per rendersene conto. Ma prima sarà opportuno ricordare brevemente la trama del romanzo. Anzitutto il titolo: non ci sono vecchi nel romanzo, di Emilio si dice che aveva trentacinque anni e che sua sorella Amalia era di qualche anno più giovane di lui. La “senilità” di cui si parla è dunque una condizione non anagrafica ma psicologica, la condizione di chi è privo di energie vitali, subisce gli eventi, è incapace di imporre la propria volontà: tale è appunto la condizione di Emilio – un modesto impiegato (in un’agenzia di assicurazioni) con la passione per la letteratura (ha scritto un romanzo con una modesta risonanza locale: si noti, ancora, il motivo autobiografico) – così come della sorella Amalia (“piccola e pallida”, più giovane di lui, ma “più vecchia per carattere, o forse per destino”, che “viveva per lui come una madre dimentica di se stessa”, insomma una casalinga che non ha mai vissuto, non ha mai conosciuto l’amore). Emilio “aggancia” una ragazza, Angiolina, e si illude di vivere con lei una facile avventura amorosa, che potrà troncare quando vorrà, come capita a tanti uomini, ad esempio al suo amico Stefano Balli, scultore, di modesto successo artistico, ma vitale, di forte personalità, brillante e simpatico nei rapporti umani, in particolare con le donne, che lui conquista con facilità. Ed ecco le pagine iniziali del romanzo:

Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso così: - T'amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d'accordo di andare molto cauti. - La parola era tanto prudente ch'era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po' più franca avrebbe dovuto suonare così: - Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera la mia famiglia.

        La sua famiglia? Una sorella non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. Dei due, era lui l'egoista, il giovane; ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa, ma ciò non impediva a lui di parlarne come di un altro destino importante legato al suo e che pesava sul suo, e così, sentendosi le spalle gravate di tanta responsabilità, egli traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la felicità. A trentacinque anni si trovava nell'anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l'amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza.

        La carriera di Emilio Brentani era più complicata perché intanto si componeva di due occupazioni e due scopi ben distinti. Da un impieguccio di poca importanza presso una società di assicurazioni, egli traeva giusto il denaro di cui la famigliuola abbisognava. L'altra carriera era letteraria e, all'infuori di una riputazioncella, soddisfazione di vanità più che d'ambizione - non gli rendeva nulla, ma lo affaticava ancora meno. Da molti anni, dopo di aver pubblicato un romanzo lodatissimo dalla stampa cittadina, egli non aveva fatto nulla, per inerzia non per sfiducia. Il romanzo, stampato su carta cattiva, era ingiallito nei magazzini del libraio, ma mentre alla sua pubblicazione Emilio era stato detto soltanto una grande speranza per l'avvenire, ora veniva considerato come una specie di rispettabilità letteraria che contava nel piccolo bilancio artistico della città. La prima sentenza non era stata riformata, s'era evoluta.           

        Per la chiarissima coscienza ch'egli aveva della nullità della propria opera, egli non si gloriava del passato, però, come nella vita così anche nell'arte, egli credeva di trovarsi ancora sempre nel periodo di preparazione, riguardandosi nel suo più segreto interno come una potente macchina geniale in costruzione, non ancora in attività. Viveva sempre in un'aspettativa, non paziente, di qualche cosa che doveva venirgli dal cervello, l'arte, di qualche cosa che doveva venirgli di fuori, la fortuna, il successo, come se l'età delle belle energie per lui non fosse tramontata.

4)      Proprio nell’incipit, ci scontriamo con due livelli di menzogna da parte del protagonista: uno consapevole (dice di desiderare una relazione non compromettente per amore di lei; ma il narratore ci avverte che, se fosse stato sincero, avrebbe detto: “per me non sarai che un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia”) ed uno inconsapevole (ma subito brutalmente svelato dal narratore, che ironizza sia sulla famiglia sia sulla carriera, anche attraverso diminutivi sprezzanti: impieguccio, famigliuola, riputazioncella).

5)      Nel romanzo abbiamo quindi due prospettive: quella di Emilio, che mente a se stesso, e quella del narratore, che denuncia la menzogna. A volte lo dice apertamente (egli mentiva...), a volte lo smascheramento è affidato all’ironia, a un semplice aggettivo od avverbio rivelatore (In passato egli aveva vagheggiato delle idee socialiste, naturalmente senza mai muovere dito per attuarle: quel naturalmente denuncia l’inettitudine di Emilio). Un altro procedimento usato è quello di riportare, senza commenti, il pensiero di Emilio (ad esempio, attraverso il discorso indiretto libero), lasciando che sia lo stridente contrasto con la realtà oggettiva a svelarne la ridicola inadeguatezza (In compenso dell’amore che ne riceveva, egli non poteva darle che una cosa soltanto: la conoscenza della vita, l’arte di approfittarne. Anche il suo era un dono preziosissimo, perché con quella bellezza e quella grazia, diretta da persona abile come era lui, avrebbe potuto essere vittoriosa nella lotta per la vita: la convinzione di Emilio di essere abile ed esperto della vita, si scontra con l’immagine che già abbiamo di lui, quella di un uomo, al contrario, timoroso della vita, tutt’altro che vincente). Proseguiamo nella lettura:

Angiolina, una bionda dagli occhi azzurri grandi, alta e forte, ma snella e flessuosa, il volto illuminato dalla vita, un color giallo di ambra soffuso di rosa da una bella salute, camminava accanto a lui, la testa china da un lato come piegata dal peso del tanto oro che la fasciava, guardando il suolo ch'ella ad ogni passo toccava con l'elegante ombrellino come se avesse voluto farne scaturire un commento alle parole che udiva. Quando credette di aver compreso disse: - Strano - timidamente guardandolo sottecchi. - Nessuno mi ha mai parlato così. - Non aveva compreso e si sentiva lusingata al vederlo assumere un ufficio che a lui non spettava, di allontanare da lei il pericolo. L'affetto ch'egli le offriva ne ebbe l'aspetto di fraternamente dolce.

        Fatte quelle premesse, l'altro si sentì tranquillo e ripigliò un tono più adatto alla circostanza. Fece piovere sulla bionda testa le dichiarazioni liriche che nei lunghi anni il suo desiderio aveva maturate e affinate, ma, facendole, egli stesso le sentiva rinnovellare e ringiovanire come se fossero nate in quell'istante, al calore dell'occhio azzurro di Angiolina. Ebbe il sentimento che da tanti anni non aveva provato, di comporre, di trarre dal proprio intimo idee e parole: un sollievo che dava a quel momento della sua vita non lieta, un aspetto strano, indimenticabile, di pausa, di pace. La donna vi entrava! Raggiante di gioventù e bellezza ella doveva illuminarla tutta facendogli dimenticare il triste passato di desiderio e di solitudine e promettendogli la gioia per l'avvenire ch'ella, certo, non avrebbe compromesso (sono riportati i pensieri di Emilio tramite il discorso indiretto libero).

        Egli s'era avvicinato a lei con l'idea di trovare un'avventura facile e breve, di quelle che egli aveva sentito descrivere tanto spesso e che a lui non erano toccate mai o mai degne di essere ricordate. Questa s'era annunziata proprio facile e breve. L'ombrellino era caduto in tempo per fornirgli un pretesto di avvicinarsi ed anzi - sembrava malizia! - impigliatosi nella vita trinata della fanciulla, non se n'era voluto staccare che dopo spinte visibilissime. Ma poi, dinanzi a quel profilo sorprendentemente puro, a quella bella salute - ai rétori corruzione e salute sembrano inconciliabili (il narratore ironizza sulla sua predisposizione a deformare la realtà secondo schemi letterari)- aveva allentato il suo slancio, timoroso di sbagliare e infine s'incantò ad ammirare una faccia misteriosa dalle linee precise e dolci, già soddisfatto, già felice.

         Ella gli aveva raccontato poco di sé e per quella volta, tutto compreso del proprio sentimento, egli non udì neppure quel poco. Doveva essere povera, molto povera, ma per il momento - lo aveva dichiarato con una certa quale superbia - non aveva bisogno di lavorare per vivere. Ciò rendeva l'avventura anche più gradevole, perché la vicinanza della fame turba là dove ci si vuol divertire (ancora il discorso indiretto libero). Le indagini di Emilio non furono dunque molto profonde ma egli credette che le sue conclusioni logiche, anche poggiate su tali basi, dovessero bastare a rassicurarlo. Se la fanciulla, come si sarebbe dovuto credere dal suo occhio limpido, era onesta, certo non sarebbe stato lui che si sarebbe esposto al pericolo di depravarla; se invece il profilo e l'occhio mentivano, tanto meglio. C'era da divertirsi in ambedue i casi, da pericolare in nessuno dei due.

6)      Nella rappresentazione di Angiolina, riconosciamo ancora il punto di vista deformante di Emilio (come discorso indiretto libero); idealizza secondo schemi letterari la figura della donna (il volto illuminato dalla vita..., tanto oro..., raggiante di gioventù e bellezza..., quel profilo sorprendentemente puro..., ecc.), che certo non corrisponde a quella idealizzazione, come si preoccupa di farci capire il narratore (non solo con un giudizio secco - ai retori corruzione e salute sembrano inconciliabili - ma anche lasciandoci intravedere nell’occasione dell’incontro - l’ombrellino caduto ed impigliatosi nel suo vestito - la malizia della donna navigata).

Senilità: la trama

7)      Tornando alla trama, Angiolina è, come si è capito, una ragazza “leggera”, di facili costumi, tutt’altro che la figura idealizzata da Emilio, che la chiama Ange (laddove il Balli, che ne riconosce subito la natura non angelica ma molto carnale – mangia con voracità formaggi e salumi – la chiamerà Giolona). Ma proprio per la sua esuberanza e vitalità, Emilio, che si illudeva di dominare nel rapporto, se ne innamora, quindi da dominatore diventa dominato, soffre perché intuisce i tradimenti della donna, vuole chiudere la relazione con lei ma non ne è capace. Intanto Amalia si innamora di Stefano, che vede spesso in casa in quanto amico del fratello. Emilio se ne rende conto perché la sente di notte che invoca il nome di Stefano nel delirio di un sogno, quindi invita l’amico a non frequentare più la sua casa. Amalia ne soffre talmente che cerca di stordirsi annusando l’etere; questo la indebolisce, si ammala di polmonite e muore. Quando è moribonda, Balli dice ad Emilio che ha dovuto respingere delle avances di Angiolina. Emilio, un po’ perché non può più ingannarsi sulla reale natura di Angiolina, un po’ perché, per quanto lo neghi, avverte come una colpa nei confronti della sorella la sua relazione, decide di andare ad un ultimo appuntamento per chiudere definitivamente con Angiolina: ma con calma, da essere superiore. Senonché, quando la trova più arrogante e spavalda che mai (non ha tempo per lui, deve andare ad un altro appuntamento), svaniscono i propositi di calma superiore, la scuote tenendola per un braccio, la copre di insulti e quando lei fugge non trova di meglio che tirarle, in maniera molto infantile, una manciata di sassolini. Ma qualche tempo dopo riprende a soffrire quando viene a sapere che è fuggita con il cassiere infedele di una banca. Emilio rientra nella senilità di sempre, ma continua ad ingannarsi perché nel ricordo la idealizza. La vede con la sua bellezza, ma con le qualità di Amalia e “con l’occhio limpido e intellettuale”.[1]

Senilità: la novità rispetto a Una vita

8)      Se ci chiediamo che differenze ci siano fra questo romanzo e il precedente, sottolineerei due aspetti: innanzi tutto qui la vicenda è imperniata su quattro personaggi (Emilio, Amalia, Stefano, Angiolina) e sulle loro relazioni, laddove in Una vita i personaggi sono tanti (non ci sono solo il protagonista ed Annetta, c’è l’amico rivale Macario, c’è il banchiere Maller, c’è Francesca, governante in casa Maller e amante del banchiere, c’è Lucia Lanucci, la figlia nella famiglia presso cui Alfonso sta a pensione); in secondo luogo, mentre Una vita – pur soffermandosi sui pensieri e le immaginazioni del protagonista – ha ancora un impianto naturalistico, cioè ci sono descrizioni d’ambiente, sia di quello impiegatizio (la banca dove lavora Alfonso) sia di quello sociale (all’ambiente alto-borghese di casa Maller si contrappone quello proletario di casa Lanucci), in Senilità la vicenda è povera di eventi, diventa assolutamente centrale l’analisi dell’interiorità, ovvero dei pensieri e delle immaginazioni del protagonista (che l’autore riporta attraverso il discorso indiretto libero), tendono a scomparire le descrizioni d’ambiente (poche righe sono dedicate al lavoro di Emilio, e lo stesso può dirsi dei luoghi di Trieste, della casa di Emilio o di quella di Angiolina). Si afferma insomma la novità della narrativa sveviana, interessata più all’interiorità del personaggio, alla sua coscienza, che all’esteriorità della vicenda e dell’ambientazione.



[1] Ne ha fatto un film Bolognini nel 1962, con Anthony Franciosa (Emilio), Claudia Cardinale (Angiolina), Philippe Leroy (Balli), Betsy Blair (Amalia).

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