martedì 16 dicembre 2025

L'ORDINANZA SULL'IMAM DI TORINO

 

Questioni di lingua nella ordinanza sull’imam di Torino

Leggo sul Corriere della sera alcune frasi virgolettate tratte dall’ordinanza con cui i giudici della corte d’appello di Torino hanno deliberato che l’imam di Torino, Mohamed Shahin, trattenuto nel Cpr di Caltanissetta, debba tornare libero. Non entro nel merito di tale delibera, convinto come sono che i giudici abbiano ben valutato i diversi aspetti del caso in questione e deciso secondo il diritto. Mi disturbano invece, dal punto di vista linguistico, alcune espressioni, che trovo, come dicevo, virgolettate. Si parla di “considerazioni di carattere etico e morale”, mettendo in campo un’accoppiata (“etico e morale”) che, al solo vederla o sentirla pronunciare, a me fa venire l’orticaria. Si tratta infatti di una ridondanza, tipica di chi si vuol dare un tono ma ignora il significato delle parole: etico e morale significano la stessa cosa, in quanto significano la stessa cosa le radici delle due parole, l’una dal greco (ethos) e l’altra dal latino (mos), ovvero “comportamento”, “costume”. Dunque basta usare una sola della due parole. Più oltre leggo, a proposito del suddetto imam, la seguente espressione, sempre virgolettata: si tratta di un cittadino “perfettamente integrato e completamente incensurato”.  Ma che vuol dire “completamente incensurato”? Uno o è incensurato o non lo è, non può esserlo parzialmente o completamente. Sarebbe come dire di una donna che è “completamente incinta”, come se potesse esserlo parzialmente.

Naturalmente, se le frasi riportate dal Corriere (mio unico riferimento), non corrispondono a quanto scritto nella ordinanza, mi scuso per le mie osservazioni critiche.

mercoledì 10 dicembre 2025

ATTUALITA': COTTARELLI E LA LINGUA ITALIANA

Cottarelli e l'uso corretto della lingua italiana

Leggo sul Corriere della sera un articolo di Carlo Cottarelli, esperto di economia e di finanza, sulla questione di un emendamento alla legge di bilancio presentato da Fratelli d’Italia. Si tratta dell’emendamento con cui si rivendica per il popolo italiano la proprietà dell’oro detenuto e gestito dalla Banca d’Italia. Non entro nel merito delle argomentazioni di Cottarelli, che peraltro condivido, ma mi soffermo su una questione grammaticale, ovvero di uso corretto della lingua italiana. A un certo punto Cottarelli si chiede se il motivo di tale emendamento stia nella “potenziale volontà, in un futuro non ben definito, di vendere l’oro, una volta usciti dai trattati europei, ossia dall’euro”. Quindi aggiunge: “non credo che nessuno abbia in mente questo, per fortuna”. Ora, la doppia negazione “non credo che nessuno” comporta un significato contrario a ciò che intendeva Cottarelli, ovvero “credo che qualcuno”. L’espressione corretta sarebbe dovuta essere “credo che nessuno”, oppure “non credo che qualcuno”.

sabato 6 dicembre 2025

ATTUALITA' : CONSIDERAZIONI OCCASIONALI

                                               Considerazioni occasionali

Dalla democrazia alla oclocrazia

Recupero un appunto da me scritto qualche anno fa, al tempo del primo governo Conte.

 Quando ho sentito il ministro dell’interno (Salvini) contestare ai magistrati il diritto di incriminarlo, in quanto non eletti, e poi il portavoce del premier (Conte) promettere una “megavendetta” alla ragioneria dello Stato, credevo di averle sentite tutte. L’arroganza, mi dicevo, si fonde e confonde con l’ignoranza della struttura dello Stato, del funzionamento delle istituzioni, della divisione e del bilanciamento dei poteri. Ma mi mancava l’ultima chicca: sentire i due vice-premier (Salvini e Di Maio) che invitavano sarcasticamente a candidarsi alle elezioni politiche uomini della Banca d’Italia e dell’Inps, colpevoli di mettere in guardia il governo sui costi insostenibili di riforme prospettate nel DEF. Allora mi è venuta in mente la teoria classica dell’anakiklosis, ovvero la teoria della ciclicità delle tre forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia), secondo cui ogni forma è destinata a degenerare e quindi ad essere sostituita dalla forma successiva. E dunque, visto che la nostra attuale forma di governo è la democrazia, non dovremmo meravigliarci di assistere alla sua degenerazione in oclocrazia, ovvero nel governo della massa ignorante, della plebaglia (oclos); è la fase in cui trionfa la demagogia, cioè (leggo dalla Treccani) ”la pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni, specialmente economiche, con promesse difficilmente realizzabili”. Non pare che sia esattamente il nostro caso? E, se è così, ci si deve aspettare il passaggio successivo, ovvero il ritorno della monarchia, cioè del governo di uno solo, che oggi si chiama dittatura. Non ci resta che sperare che la teoria dell’anakiklosis sia infondata…

Su Trump

Ai tanti motivi di preoccupazione suscitati dalla presidenza Trump io vorrei aggiungerne un altro. Siamo sicuri che un tale uomo, che si ritiene chiamato da Dio per fare di nuovo l’America grande, allo scadere del suo secondo mandato si rassegnerà a tornare un privato cittadino? Io temo  che farà di tutto per aggirare o abrogare il XXII° emendamento della Costituzione che vieta ulteriori mandati, certamente supportato dalle violente manifestazioni dei suoi seguaci, di cui abbiamo già avuto prova nell’indimenticabile assalto a Capitol Hill.

Sul ministro Valditara

Il ministro Valditara nella lettera a Repubblica del 19/12/2024, a difesa del suo famoso tweet “dileggiato da Lagioia” in quanto sgrammaticato, scrive che  “tre illustri linguisti, fra cui il presidente onorario della Crusca, lo hanno considerato rispettoso delle regole grammaticali e dunque affatto sgrammaticato”. Dubito che gli illustri linguisti di cui sopra ritengano corretta l’espressione “affatto sgrammaticato” nel senso di “per niente sgrammaticato”, visto che quell’espressione significa esattamente il contrario, ovvero “del tutto sgrammaticato”.

Sul diritto internazionale

Non c’è motivo di preoccuparsi, la pace mondiale a me pare molto vicina. Putin si prende l’Ucraina, Trump si prende la Groenlandia, Xi Jinping si prende Taiwan e siamo tutti a posto. O no?

Sui contributi di banche e assicurazioni

Ogni volta che sento parlare di contributi richiesti a banche e assicurazioni, metto mano al portafoglio. Sono infatti convinto che gli enti suddetti non intendano perdere nemmeno un centesimo dei loro profitti, quindi si rifarebbero su noi correntisti e assicurati, aumentando tariffe, commissioni e spese varie. Pertanto, onde evitare un’altra tassa occulta a carico del cittadino, suggerirei al governo di lasciar perdere…

martedì 18 novembre 2025

AMORE E MORTE: DA FREUD A LUCREZIO (I parte)

 

Scelta dell’argomento

1)    L’argomento che ho scelto per questo incontro (Amore e morte: da Freud a Lucrezio) può sembrare un po’ strano. Ammetto che è piuttosto anomalo associare un autore del Novecento, quale il fondatore della psicanalisi, a un poeta latino del I secolo a.C., quale Lucrezio. Cerco di spiegare come è nata l’idea.

2)    Io mi sono interessato ai tempi dell’università del pensiero di Freud, non tanto del Freud medico e della sua terapia psicanalitica, quanto del Freud filosofo, quello che formula ipotesi sulla natura degli istinti, sulle origini e sul destino della civiltà, sul rapporto fra individuo e organizzazione sociale. Poi quando ho cominciato a insegnare sono stato particolarmente colpito da qualche passo del De rerum natura, che già conoscevo, ma che ora mi pareva di comprendere meglio alla luce di certe idee di Freud.

Freud è morto?

3)    So che Freud oggi è un po’ fuori moda e ho letto che anche la validità della terapia psicanalitica è messa in discussione. Mi viene in mente una famosa battuta attribuita a Woody Allen: “Marx è morto, Dio è morto e anche io non mi sento tanto bene…”. Ecco, si potrebbe aggiungere che anche Freud è morto e saremmo a posto. Tuttavia io continuo a credere che ci siano nel suo pensiero delle idee che a me sembrano ancora attuali e che comunque inducono a pensare.

Complessità del pensiero di Freud e ordine del mio discorso

4)    Quali sono queste idee di Freud? Sono particolarmente quelle relative alla natura degli istinti e al destino della civiltà, a cui Freud ha dedicato diverse opere, quali Al di là del principio del piacere (1920), Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), L’avvenire di un’illusione (1927), Il disagio della civiltà (1930). Di queste idee intendo parlare, cercando di semplificare al massimo, ma contando di cogliere il nocciolo delle questioni, che sono complesse, tant’è che in merito lo stesso pensiero di Freud, per sua stessa ammissione, è incerto, oscillante. Infatti va detto subito che il pensiero del fondatore della psicanalisi è in continuo movimento, frutto di una ricerca continua. La sua teoria sulla natura degli istinti (o meglio, pulsioni, Trieb in tedesco) subisce nel corso degli anni continue modifiche, precisazioni, correzioni, ripensamenti.

5)    Sperando di non annoiarvi, cercherò di mostrare lo sviluppo di questo pensiero fino alle formulazioni definitive, che sono quelle che si ritrovano nel saggio del 1930, Il disagio della civiltà. Leggerò pertanto dei passi tratti dalle opere di Freud, passi che ho trascritto perché sarebbe stato poco agevole portarmi dietro i testi. Successivamente passerò a quello che è più il mio campo, ovvero la letteratura, parlando del poema di Lucrezio e soffermandomi in particolare su alcuni passi che a me sono parsi illuminanti e illuminati dalle teorie di Freud.

La struttura della psiche: Es, Io e Super-Io

6)    Dunque Freud, il quale, per indicare la struttura della psiche, in una prima fase parla di Es (l’insieme delle pulsioni, degli istinti profondi, che aspirano alla propria soddisfazione secondo il cosiddetto principio del piacere), di Io (la parte cosciente, che ha imparato a relazionarsi con l’ambiente, e quindi a tenere a freno le pulsioni istintive, acquisendo il cosiddetto principio di realtà), di Super-Io (quella parte della psiche che si è formata a seguito di una sorta di introiezione della figura paterna, e quindi rappresenta, nell’interiorità dell’individuo, l’insieme dei precetti morali, il senso del dovere, su cui il padre vigila e punisce).

Le due pulsioni

7)    Successivamente, approfondendo la natura dell’Es, Freud parla di una energia psichica che si distingue in pulsione sessuale e pulsione aggressiva. In altre parole Freud scandalizzò i contemporanei di fine Ottocento non solo dicendo che le nevrosi, le malattie mentali, scaturivano dalla repressione dell’eros, delle esigenze sessuali, ma anche dicendo che nella profondità dell’inconscio esiste una pulsione distruttiva ed autodistruttiva. Freud osservava inoltre che queste due pulsioni non sono separate ma operano e partecipano entrambe in tutte le manifestazioni istintuali, sono fuse insieme, sebbene non necessariamente in ugual misura. In altre parole, ciò vuol dire che qualsiasi atto aggressivo/distruttivo fornisce a colui che lo compie una certa gratificazione sessuale inconscia; e qualsiasi atto d’amore non è immune dalla presenza inconscia della pulsione aggressiva.

8)    Così si esprimeva Freud nella lettera di risposta ad Einstein che gli chiedeva il suo parere sul perché della guerra, una lettera datata 1932:

Noi presumiamo che le pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire, da noi chiamate erotiche…. e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva…. Ora sembra che quasi mai una pulsione di un tipo possa agire isolatamente, essa è sempre legata – vincolata, come noi diciamo – con un certo ammontare della controparte, (che ne modifica la meta o, secondo i casi, ne permette, solo così, il raggiungimento)…. La difficoltà di isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni ci ha impedito per tanto tempo di riconoscerle.

AMORE E MORTE: DA FREUD A LUCREZIO (II parte)

 

Eros e Thanatos, libido e destrudo

1)    Le due pulsioni vengono poi identificate rispettivamente con il nome di Eros (la pulsione che si manifesta nella sessualità, ma che, in senso più ampio, è quella che tende “a conservare e a unire”, come dice nella suddetta lettera, ovvero, come dice altrove, a “legare la sostanza vivente in unità sempre più larghe”) e Thanatos (morte in greco: la pulsione che tende “a distruggere e uccidere”). L’energia di cui le pulsioni sono cariche viene chiamata libido (per Eros) e destrudo[1] (per Thanatos). Freud aggiunge che una pulsione non agisce “isolatamente”, ma è “vincolata… con un certo ammontare della controparte”, ovvero con la pulsione opposta, ma complementare.

Thanatos, l’aspirazione allo stato inanimato e la correzione

2)    Qualcosa di più va detto su Thanatos, la pulsione di morte. Anzitutto Freud ipotizza che essa appartenga a tutta la materia vivente, la quale aspira a ritornare allo stato inorganico “a cui l’essere vivente è stato costretto a rinunziare sotto l’incalzare di forze perturbatrici esterne”; così scrive in Al di là del principio del piacere:

L’essere vivente elementare sarebbe rimasto volentieri immobile sin dall’inizio della sua esistenza, non avrebbe chiesto di meglio che di condurre un genere di vita uniforme, in condizioni invariabili… A un certo momento l’intervento di una forza, sulla cui natura non possiamo farci alcuna idea, ha risvegliato nella materia inanimata le caratteristiche della vita… la tensione che allora si produsse in una sostanza, fino a quel momento inanimata, cercò di autoeliminarsi. Così nacque la prima pulsione: quella di ritornare allo stato inanimato… Per lungo tempo la sostanza vivente doveva così nascere e morire facilmente, finché fattori decisivi esterni produssero alterazioni tali da costringere la sostanza ancora in vita a deviazioni sempre più grandi dal suo cammino biologico originario e a détours (giri tortuosi) sempre più complicati prima di arrivare alla meta finale, la morte.

3)    Freud sta parlando qui di una proprietà che appartiene a tutte le pulsioni, ovvero la “tendenza inerente alla vita organica a ripristinare uno stato anteriore”, una tendenza alla morte che si realizza in maniera più o meno semplice a seconda che l’organismo vivente sia più o meno complesso. Ma questo punto Freud interrompe il ragionamento e si corregge:

Ma fermiamoci un momento a riflettere. Le cose non possono stare così. Le pulsioni sessuali… appaiono sotto un aspetto completamente diverso… Sono le pulsioni di vita nel vero senso della parola. Esse agiscono in senso inverso allo scopo delle altre pulsioni, il cui funzionamento conduce alla morte, e questo fatto indica appunto che c’è un’opposizione con le altre pulsioni… (E’ come se la vita dell’organismo procedesse con un ritmo incerto: un gruppo di pulsioni si precipita a raggiungere lo scopo finale; ma una volta raggiunta una certa tappa di questo cammino, l’altro gruppo torna indietro, sino a un certo limite, per ripartire di nuovo e prolungare, di conseguenza, il viaggio).

4)    E’ dunque affermata qui – dopo ripensamenti, correzioni di precedenti ipotesi ed anche contraddizioni – l’esistenza di due pulsioni che coesistono, ma sono in opposizione, la pulsione di vita (Eros) e la pulsione di morte (Thanatos).

La destrudo si manifesta come aggressività verso l’esterno

5)    Ma come si manifesta la destrudo, ovvero l’energia di cui è portatrice la pulsione di morte? Scrive Freud ne Il disagio della civiltà:

Non fu facile documentare l’attività di questa pulsione di morte. Le manifestazioni di Eros balzavano agli occhi; per contro si poteva supporre che la pulsione di morte lavorasse silenziosamente all’interno dell’organismo verso la sua dissoluzione, ma questo naturalmente non provava nulla. Più promettente l’idea che parte della pulsione si dirigesse verso il mondo esterno e diventasse quindi visibile come pulsione all’aggressione e alla distruzione. La pulsione medesima, in tal modo,… distruggeva qualcos’altro, animato o inanimato, invece di se stesso.

In altre parole, qui si dice che la pulsione di morte, invece di agire “all’interno dell’organismo verso la sua dissoluzione” (come era esclusivamente nell’ipotesi che abbiamo visto descritta in Al di là del principio del piacere), mira a “distruggere qualcos’altro, animato o inanimato, invece di se stesso”. E questo equivale a dire che la destrudo tende a scaricare la sua energia con la crudeltà, la violenza, la guerra.

Il pessimismo sulla inevitabilità della guerra

6)    Ne conseguono alcune affermazioni di Freud improntate a un radicale pessimismo sulla condizione e sulle prospettive dell’umanità; così ne Il disagio della civiltà:

Per ognuno di noi viene il momento di lasciar cadere come illusioni le speranze che ripone in gioventù sui propri simili, e di sperimentare quanto la vita gli è resa gravosa dalla loro malevolenza.

(alla civiltà) si oppone la naturale pulsione aggressiva dell’uomo, l’ostilità di ciascuno contro tutti e di tutti contro ciascuno.

E così ne L’avvenire di un’illusione:

Sembra che ogni civiltà debba edificarsi sulla coercizione e sulla rinuncia pulsionale… Si deve, a mio parere, tener conto del fatto che in tutti gli uomini sono presenti tendenze distruttive, e perciò antisociali e ostili alla civiltà.

           E ancora in una conferenza del 1915, tenuta a Vienna nel corso della I guerra  mondiale:

Non esiste in noi alcun ribrezzo istintivo per lo spargimento di sangue. Noi siamo i discendenti di una serie infinita di generazioni di assassini. La brama di uccidere l’abbiamo nel sangue, e la ritroveremo forse presto in un altro luogo.

E in un’altra conferenza, sempre del 1915, su Noi e la morte:

Nel nostro inconscio rimaniamo ancor oggi una masnada di assassini.

7)    Dunque la guerra pare inevitabile, in quanto corrisponde ad una pulsione che agisce nel profondo, nel subconscio, e che non è possibile eliminare; e i motivi ideali, con cui spesso la si motiva, non sono che un paravento della pulsione aggressiva e distruttiva. Così nella già citata lettera di risposta ad Einstein:

Lei si meraviglia che sia tanto facile infiammare gli uomini alla guerra, e presume che in loro ci sia effettivamente una pulsione all’odio e alla distruzione … Non posso far altro che convenire senza riserve con lei. Noi crediamo all’esistenza di tale istinto (…) Pertanto, quando gli uomini vengono incitati alla guerra, può far eco in loro un’intera serie di motivi consenzienti, nobili e volgari, alcuni di cui si parla apertamente e altri che vengono taciuti … Il piacere di aggredire e distruggere ne fa certamente parte, innumerevoli crudeltà della storia e della vita quotidiana confermano la loro esistenza e la loro forza … Talvolta, quando sentiamo parlare delle atrocità della storia, abbiamo l’impressione che i motivi ideali servissero da paravento alle brame di distruzione (…). Non c’è speranza nel voler sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre a profusione tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui vita scorre nella mitezza, presso cui la coercizione e l’aggressione sono sconosciute. Posso a malapena crederci, mi piacerebbe saperne di più su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza tra i membri della comunità. Io la ritengo un’illusione.

Mie osservazioni sul persistere delle guerre

8)    Che dire? Le stragi e le distruzioni cui assistiamo con orrore nelle guerre dei nostri tempi, guerre condotte con armi sempre più sofisticate e dunque sempre più micidiali, non sono molto diverse dalle stragi e distruzioni compiute nel passato da eserciti armati di spade, lance, frecce, arieti e catapulte. Io conosco un po’ la storia romana e ricordo che grandi città come Cartagine in Africa, Corinto in Grecia, Numanzia in Spagna, una volta conquistate furono rase al suolo e i loro cittadini uccisi a migliaia o venduti come schiavi. Per conquistare la Gallia Cesare uccise più di un milione di uomini, e non si risparmiavano certo i civili, compresi vecchi, donne e bambini, e aggiungo anche gli animali domestici, come più volte è testimoniato dagli stessi storici latini. E non parliamo di popoli ancora primitivi e selvaggi, ma di popoli, quale quello romano così come quello greco, che avevano raggiunto un alto grado di civiltà, come è dimostrato dalla produzione letteraria e filosofica. Del resto, per tornare al presente della civilissima Europa, pensiamo alla notizia molto recente sui cosiddetti “turisti-cecchini”, cioè su ricchi europei che pagavano (non erano pagati, pagavano loro!) per potere andare sulle colline di Sarajevo e sparare dall’alto sui civili inermi, in particolare su donne e bambini.

Necessità di limitare la pulsione di morte

9)    Ma seguiamo il ragionamento di Freud fino alla conclusione del suo saggio su Il disagio della civiltà. L’esistenza di questa tendenza all’aggressione e alla distruzione è una continua minaccia per la “società incivilita”, la quale dunque “deve far di tutto per porre limiti alle (suddette) pulsioni aggressive dell’uomo”. La civiltà, aggiunge Freud,

è un processo al servizio dell’Eros, che mira a raccogliere prima individui sporadici, poi famiglie, poi stirpi, popoli, nazioni, in una grande unità: il genere umano. Perché questo debba accadere non lo sappiamo, è appunto opera dell’Eros… Ma a questo programma della civiltà si oppone la naturale pulsione aggressiva dell’uomo… questa pulsione è figlia e massima rappresentante della pulsione di morte, che abbiamo trovato accanto all’Eros e ne condivide il dominio sul mondo. Ed ora, mi sembra, il significato dell’evoluzione civile non è più oscuro. Indica la lotta fra Eros e Morte, tra pulsione di vita e pulsione di distruzione, come si attua nella specie umana. Questa lotta è il contenuto essenziale della vita e perciò l’evoluzione civile può definirsi in breve come la lotta per la vita della specie umana.



[1] Chiarisco che Freud ha usato questo termine una sola volta, nell’opera L’Io e l’Es (1923); sono stati studiosi successivi ad usarlo per riferirsi appunto all’energia della pulsione di morte.

AMORE E MORTE: DA FREUD A LUCREZIO (III parte)

 

La pulsione di morte, introiettata, rafforza il Super-Io

1)    Ma in definitiva, si chiede Freud, “che mezzi ha la civiltà per frenare la spinta aggressiva che le si oppone, per renderla innocua, magari per abolirla”? ed ecco la risposta:

L’aggressività viene introiettata, interiorizzata, propriamente viene rimandata donde è venuta, ossia è volta contro il proprio Io. Qui viene assunta da una parte dell’Io, che si contrappone come Super-io al rimanente, ed ora come coscienza morale è pronta a dimostrare contro l’Io la stessa inesorabile aggressività che l’Io avrebbe volentieri soddisfatto contro altri individui estranei. Chiamiamo senso di colpa la tensione tra il rigido Super-io e l’Io ad esso soggetto, tale senso si manifesta come bisogno di punizione. La civiltà domina dunque il pericoloso desiderio di aggressione dell’individuo infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare da una istanza al suo interno, come da una guarnigione nella città conquistata.

2)    Dunque l’aggressività interiorizzata comporta il rafforzamento del Super-Io che si mobilita contro l’Io e genera in lui il senso di colpa. Il Super-Io, abbiamo detto, è quella parte della psiche che si è formata a seguito di una sorta di introiezione della figura del padre, il quale, nell’interiorità dell’individuo, vigila e punisce, non solo i comportamenti ma anche i pensieri e i desideri. Il senso di colpa, che si manifesta come bisogno di punizione, nasce non perché si è commesso il male (in questo caso, il soddisfacimento della pulsione aggressiva), ma perché si è avuto il desiderio di compierlo. In questo senso, dice Freud, “non c’è differenza tra il fare e il volere il male, perché niente può rimanere nascosto dinanzi al Super-Io, neppure i pensieri”.

L’individuo è infelice e, in attesa della guerra, si sfoga con il tifo ultrà

3)    La civiltà dunque si protegge in questo modo dalla pericolosa pulsione di morte, ma l’individuo paga con il prezzo dell’infelicità, con un senso di colpa destinato a crescere, dice Freud, in misura sempre meno tollerabile. A sua volta, la pulsione di morte così interiorizzata non aspetta che l’occasione per scatenarsi verso l’esterno. Nel frattempo, aggiungo io, si sfoga con quel surrogato della guerra che è – particolarmente nel calcio, ma non solo – lo scontro violento fra tifosi di squadre opposte, cui assistiamo ogni settimana.

L’unica speranza è legata al rafforzamento di Eros

4)    L’unico spiraglio che Freud lascia aperto è legato all’altra pulsione, la pulsione sessuale, Eros, l’istinto di vita, che si contrappone a Thanatos, l’istinto di morte. L’energia psichica è una, anche se si distingue in libido (l’energia di Eros) e destrudo (l’energia di Thanatos). Le due pulsioni sono opposte ma operano in maniera complementare, il che vuol dire che se si favorisce, a livello sociale, uno sviluppo non repressivo della libido, necessariamente si riducono, o comunque si alterano le manifestazioni della destrudo. E’ questo il senso della speranza espressa nella già citata lettera ad Einstein:

Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione, l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra..

Quindi Freud cerca di spiegare che cosa intende per “legami emotivi fra gli uomini” e parla di “relazioni come con un soggetto amoroso, anche se prive di meta sessuale” e poi di “solidarietà significative fra gli uomini”. In altre parole dice che l’Eros può essere soddisfatto in attività e rapporti che non sono sessuali nel senso della sessualità genitale, e che pure sono libidici ed erotici.

5)    E questo sembra essere lo stesso senso della speranza con cui si concludeva Il disagio della civiltà:

Mi manca il coraggio di erigermi a profeta di fronte ai miei simili e accetto il rimprovero di non sapere portare loro nessuna consolazione… Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile degli uomini riuscirà a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva e autodistruttrice… Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali che, giovandosi di esse, sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione. E ora c’è da aspettarsi che l’altra delle due potenze celesti, l’Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario altrettanto immortale.

La polemica anti-religiosa accomuna Freud e Lucrezio

6)    Che hanno a che fare con tutto ciò Lucrezio e la filosofia epicurea, di cui con la sua opera, il De rerum natura, il poeta voleva essere il divulgatore nel mondo romano? Ma prima di spiegare in che senso, secondo me, ci sono nel De rerum natura dei versi che corrispondono al pensiero di Freud sul rapporto fra amore e morte, consentitemi di mostrare come, pur nella diversità delle argomentazioni, ci sia un aspetto specifico che accomuna Lucrezio e Freud, ed è la dura polemica contro la religione.

L’avvenire di un’illusione: la religione come nevrosi universale

7)    A questa polemica Freud dedica un saggio, L’avvenire di un’illusione, del 1927. C’è una genesi psichica della religione, per cui la figura di Dio non è altro che una proiezione della figura del padre dell’infanzia, quel padre che era onnipotente e protettivo, ma anche capace di punire. Di fronte all’infelicità della vita persiste nell’adulto il bisogno di protezione e sicurezza, ed egli la trova in un Dio che vede e provvede, che premia o punisce, in questa vita o nell’altra. Così nel saggio in questione:

Quando l’individuo, crescendo, nota che è destinato a rimanere sempre un bambino che non potrà mai fare a meno della protezione contro le potenze superiori, egli conferisce a queste i tratti della figura patema, si crea gli dèi, che teme, che cerca di propiziarsi e a cui tuttavia affida la propria protezione. Così il motivo del desiderio bramoso del padre è identico al bisogno di protezione contro le conseguenze dell’impotenza umana…. Il governo amorevole della provvidenza divina placa l’angoscia di fronte ai pericoli della vita, (l’introduzione di un ordine morale universale assicura la soddisfazione del bisogno di giustizia, che nell’ambito della civiltà umana è rimasto così spesso insoddisfatto,) il prolungamento dell’esistenza terrena con una vita futura appronta la cornice spaziale e temporale in cui questi appagamenti si compiranno….

8)    La religione dunque, scrive Freud, non è altro che una forma di nevrosi su scala universale, una nevrosi da cui in prospettiva si può guarire, così come, “crescendo, molti bambini superano la loro analoga nevrosi”:   

La religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell’umanità; come quella del bambino, che derivò dal complesso di Edipo, dalla relazione col padre. In base a questa concezione, si può prevedere che l’allontanamento dalla religione avverrà con la fatale inesorabilità di un processo di crescita, e che noi proprio adesso ci troviamo in mezzo a questa fase di sviluppo…

E ancora:

Si impone nello psicologo l’idea che la religione è paragonabile a una nevrosi infantile, ed egli è abbastanza ottimista da credere che l’umanità supererà questa fase nevrotica così come, crescendo, molti bambini superano la loro analoga nevrosi.

Si guarisce affidandosi alla scienza

9)    E’ una nevrosi da cui si può guarire, affidandosi alla ragione e alla conoscenza scientifica della realtà:

Abbiamo sentito l’ammissione che la religione non ha più sugli uomini lo stesso influsso di prima (si tratta qui della civiltà europeo-cristiana)… La ragione di questa trasformazione è il rafforzamento dello spirito scientifico…. La critica ha intaccato la forza probatoria dei documenti religiosi, la scienza della natura ha mostrato gli errori in essi contenuti, la ricerca ha scorto la fatale somiglianza delle rappresentazioni religiose da noi venerate con le produzioni spirituali dei popoli e dei tempi primitivi…. Lo spirito scientifico produce un modo particolare di atteggiarsi nei confronti delle cose di questo mondo;… quanto maggiore è il numero degli uomini a cui divengono accessibili i tesori del nostro sapere, tanto più si diffonde il distacco dalla fede religiosa.

10)      Quindi, immaginando di rispondere ad un ipotetico interlocutore che sostiene il valore e l’importanza della religione e accusa invece la scienza di essere illusoria, in particolare quella dello psicologo, che pretende di spiegare il funzionamento della psiche, Freud così conclude:

Uno psicologo che non si illude su quanto sia difficile raccapezzarsi in questo mondo si sforzerà di giudicare lo sviluppo dell’umanità in base a quel po’ di discernimento acquisito nello studio dei processi psichici che avvengono nell’individuo durante il suo sviluppo dall’infanzia all’età adulta. …. Noi crediamo che sia possibile, col lavoro scientifico, apprendere sulla realtà del mondo qualcosa che ci permetterà di accrescere il nostro potere e indirizzare la nostra vita. Se questa credenza è un’illusione, allora siamo nella Sua stessa situazione (cioè, dell’interlocutore immaginario), ma la scienza ci ha fornito la prova, con numerosi e significativi successi, di non essere un’illusione. Essa ha molti aperti nemici e anche più nemici camuffati tra coloro che non riescono a perdonarle di aver svigorito la fede religiosa e di minacciare di abbatterla…. la nostra scienza non è un’illusione. Un’illusione sarebbe invece di credere che possiamo prendere da un’altra parte quello che essa non può darci.

AMORE E MORTE: DA FREUD A LUCREZIO (IV parte)

 

Anche per Lucrezio si guarisce grazie alla naturae species ratioque

1)    Questo insistere sulla necessità della ricerca scientifica per liberare l’uomo dall’illusione religiosa, per guarirlo da quella nevrosi collettiva, non può non ricordare Lucrezio, il quale naturalmente non parla di nevrosi, ma ugualmente ritiene che la mente dell’uomo, ottenebrata e spaventata dalle credenze religiose, possa e debba essere liberata tramite la conoscenza scientifica. In latino l’espressione, usata più volte, è naturae species ratioque; è un’endiadi (en – dià – dioin, uno attraverso due, un concetto attraverso due parole) dove species – che ha la stessa radice di spectare, guardare, speculare, studiare – significa appunto “osservazione”, “studio” e ratio significa “ragione”, “razionalità”; dunque l’espressione naturae species ratioque si può tradurre come “osservazione razionale, o studio scientifico, della natura”.

2)    E’ lo stesso maestro, Epicuro, che ha insegnato che questa è la strada, lui che, “mentre la vita umana giaceva oppressa dal grave peso della religione, che incombeva dall’alto del cielo col suo orribile aspetto”, “per primo osò sollevare gli occhi contro la religione” (primum Graius homo mortalis tollere contra / est oculos ausus) e non lo spaventarono “la fama degli dei, né i fulmini, né il minaccioso brontolio del cielo” (neque fama deum, nec fulmina, nec minitanti / murmure compressit caelum) (I, vv. 62-69).

Noi come fanciulli, per Lucrezio come per Freud

3)    E infatti noi, scrive Lucrezio, siamo come fanciulli che al buio hanno paura immaginando minacce che non esistono; come loro noi, pur essendo alla luce, “temiamo cose che non sono più paurose di quelle che spaventano i fanciulli al buio” (III, vv. 97-90). Un paragone, questo, fra le paure dei fanciulli e quelle degli adulti, che non può non ricordare l’idea di Freud secondo cui con la religione si rinnova negli adulti il rapporto nevrotico avuto con il padre da fanciulli. E come Freud indicava nel “rafforzamento dello spirito scientifico” la terapia in grado di liberare dalla suddetta nevrosi, così scrive Lucrezio:

 

hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest

non radii solis nec lucida tela diei

discutiant, sed naturae species ratioque. (III, vv. 91-93)

 

“Questo terrore dell’animo, dunque, e queste tenebre occorre che siano dissipate non dai raggi del sole né dai lucenti dardi del giorno, ma dallo studio scientifico della natura

Empietà della religione: il sacrificio di Ifigenia e degli animali

4)    Per Lucrezio la religione è prima di tutto empia, in quanto in suo nome si compiono sacrifici umani; e qui, in un bellissimo passo, il poeta rievoca il sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone, che venne immolata sull’altare perché gli dei favorissero il viaggio della flotta, che partiva alla volta di Troia; durissimo il verso con cui si conclude la narrazione della vicenda: Tantum religio potuit suadere malorum, a tanto male potè indurre la religione (I, vv. 84-101).

5)    Ma orribili sono anche i sacrifici degli animali, per i quali Lucrezio dimostra una sensibilità più unica che rara nella poesia dell’antichità: è indimenticabile il passo in cui è rappresentato il dolore inconsolabile della madre che cerca invano il vitello sgozzato davanti all’altare, “con lo sguardo cercando ovunque (omnia convisens oculis loca), se possa in un luogo scorgere il figlio perduto (si queat usquam conspicere amissum fetum), si ferma e riempie di tristi muggiti il bosco frondoso (completque querellis frondiferum nemus adsistens), e spesso ritorna alla stalla, trafitta dal desiderio del suo giovenco (et crebra revisit ad stabulum desiderio perfixa iuvenci)” (II, vv. 355-360).

Gli dei non si interessano di noi, non c’è provvidenza

6)    Ma c’è un argomento fondamentale per sostenere il carattere illusorio, fallace, della religione. Gli dei, dice Lucrezio, abitano negli spazi tra i mondi, nei cosiddetti intermundia, e vivono in condizioni di perfetta atarassia, ovvero di imperturbabilità, dunque non possono essere turbati dalle vicende umane, di cui non si interessano in alcun modo; il che equivale a dire che, per noi uomini, è come se non esistessero.

7)    Da questo consegue che non c’è una punizione divina per gli uomini, in questa o in un’altra vita, ma nemmeno c’è per il mondo umano una provvidenza benevola (quella prònoia in cui credevano invece gli stoici). Scrive Lucrezio: “Quand’anche ignorassi quali sono gli elementi costitutivi delle cose, per gli stessi fenomeni del cielo e in base a molti altri fatti oserei affermare che non c’è stato un intervento divino che ha creato a nostro vantaggio la natura del mondo: tanto grande è l’imperfezione che gli è connaturata” (tanta stat praedita culpa, letteralmente, fornita com’è la natura di così grande colpa) (II, vv. 177-181; V, vv. 195-199).

La natura matrigna e il lugubre vagito

8)    Segue un elenco dei mali del mondo che ci fanno pensare alla concezione leopardiana della natura matrigna, tanto che, conclude Lucrezio,  come un naufrago sbattuto sulla spiaggia dalle onde del mare, un bambino che nasce “giace nudo a terra, incapace di parlare, bisognoso di ogni aiuto per sopravvivere, e riempie il luogo di un lugubre vagito, come si addice a chi nella vita dovrà passare per tanti malanni (ut aecumst / cui tantum in vita restet transire malorum)” (V, vv. 222-227). Un lugubre vagito: notate l’ossimoro fra il vagito che è proprio del neonato e dunque richiama la nascita, e l’aggettivo lugubre, che invece è funereo e richiama la morte.

Eros: il sesso come bisogno e il piacere “in quiete”

9)    Veniamo ora alla questione del rapporto fra Eros (la pulsione sessuale, ovvero la pulsione di vita) e Thanatos (la pulsione aggressiva e distruttiva, ovvero la pulsione di morte).

10)      Quello che Lucrezio pensa dell’amore e della pulsione sessuale è coerente con la dottrina epicurea: la sessualità è una necessità, in quanto ha a che fare con la riproduzione della vita, ed è anche un bisogno naturale che va soddisfatto, come il mangiare, il bere, il dormire. Ciò che va assolutamente evitato è il coinvolgimento passionale, noi diremmo l’innamoramento, in quanto fonte di grande turbamento, di dolore e di angoscia. Per l’etica epicurea infatti ciò che ci si deve proporre è il piacere (hedoné in greco, voluptas in latino), ma il piacere di cui si parla è il cosiddetto piacere “catastematico”, ovvero statico, “in quiete”, definito come assenza del dolore (aponia) e mancanza di turbamento (atarassia)[1]; è un piacere che si distingue dal cosiddetto piacere “cinetico”, ovvero dinamico, che è il piacere dei dissoluti e di chi insegue onori e ricchezze, un piacere che genera inquietudine, turbamento, sofferenza. E tale è anche il piacere generato dall’amore passionale.

11)      Evito di riportare i versi in cui, in maniera crudamente realistica, è descritta la fisiologia dell’atto sessuale, sempre insistendo sulla necessità di soddisfare un bisogno e di evitare il coinvolgimento passionale. Per cui ecco la conclusione: “Non perde i frutti di Venere chi evita l’amore (nel senso dell’innamoramento), ma piuttosto coglie i piaceri che sono senza pena. Di certo il piacere per gli uomini assennati è più puro di quello degli infelici amanti” (IV, vv. 1073-1076).

Thanatos: non pulsione di morte, ma pensiero angosciante

12)       Quanto a Thanatos, la morte, è un motivo fondamentale nel poema di Lucrezio, ma non nel senso di una pulsione di morte come abbiamo visto in Freud, bensì nel senso di un pensiero angosciante, fonte di grande turbamento, in definitiva, madre di tutte le paure. E’ un’angoscia da cui ci si può e ci si deve liberare tramite la conoscenza scientifica della natura (la naturae species ratioque).



[1] E’ una concezione che ricorda il pensiero di Freud quando identifica il principio del piacere con il cosiddetto principio del Nirvana, che consiste nella tendenza a ridurre o eliminare ogni tensione prodotta da stimoli, interni o esterni (analogamente a ciò che il Nirvana indica nel buddismo, ovvero la cessazione del dolore in conseguenza dell’annullamento del desiderio).