martedì 28 maggio 2024

L'amore e l'altro mondo nell'immaginario medievale (I parte)

 

Introduzione

1)    Sono ricorrenti nella letteratura medievale visioni dell’oltretomba, cioè visioni della condizione umana dopo la morte (basti pensare a quella grandiosa visione dell’aldilà che è la Divina Commedia). Ebbene, ci sono visioni dedicate alla condizione riservata ad uomini e donne dopo la morte, specificamente in relazione al modo in cui hanno praticato o non hanno praticato l’amore durante la vita.

2)    Esaminando queste visioni (io ne ho selezionate quattro), si può vedere come nel giro di un paio di secoli cambi il modo di concepire l’amore, cambi in relazione agli sviluppi della società e all’affermarsi di diversi principi morali.

La visione di Andrea Cappellano: i tre gruppi

3)    La prima visione, che prendo in considerazione, è quella che si trova nel De amore di Andrea Cappellano. Dell’autore poco si sa, se non che fu attivo fra la seconda metà del sec. XII e i primi decenni del secolo successivo, e, presumibilmente, fu ‘cappellano’ (da cui l’appellativo con cui è ricordato nei codici) prima alla corte di Maria di Champagne, poi a quella del re di Francia Filippo Augusto. L’opera, a cui è legata la sua fama, il De amore (o De arte honeste amandi), è un trattato in tre libri, scritto in latino e tradotto ben presto nelle principali lingue indo-europee.

4)    Ed ecco la visione. In una calda e luminosa giornata d’estate un nobile cavaliere, un certo Gualtieri, mentre cavalca nella selva reale di Francia al seguito del re ed insieme ad altri nobili, si trova a vivere una straordinaria avventura. Infatti, per un contrattempo durante una sosta, perde di vista la propria compagnia, quindi cerca di ritrovarla, ma si imbatte in un’altra compagnia di uomini e donne, a piedi e a cavallo. Si tratta nientemeno che di una compagnia di morti.

5)    Il corteo incontrato – come gli spiega una donna che ne fa parte – è guidato dal dio Amore ed è composto da donne, suddivise in tre gruppi. Nel primo gruppo ci sono donne molto belle e ben vestite, che cavalcano un palafreno lussuosamente bardato e sono accompagnate ciascuna da due cavalieri che procedono al loro fianco e da un terzo appiedato che guida a mano il loro cavallo: sono, costoro, quelle "beatissime donne" che in vita concessero il loro amore agli amanti che ne erano degni, e che perciò ora ricevono, come ricompensa, tale onore. Le donne del secondo gruppo sono accompagnate da una gran quantità di servitori, a piedi e a cavallo, ma la moltitudine e la confusione sono tali che esse, invece di essere adeguatamente servite, ricevono soltanto impaccio nel cavalcare: si tratta delle donne che in vita “si concessero al piacere di chiunque, senza discrezione, e che perciò ora hanno in cambio tale condizione disagiata. Nel terzo gruppo ci sono donne mal vestite, costrette a cavalcare senza sella su cavalli macilenti e zoppicanti, senza alcun cavaliere che le accompagni e le serva, per di più accecate e soffocate dalla molta polvere sollevata dal gruppo precedente: sono queste le donne che in vita "mantennero chiusa la porta dell’amore", rifiutarono di concedersi anche ai cavalieri che degnamente le avrebbero amate, preferirono la castità e perciò ora subiscono la giusta punizione.

6)    Anche nel regno governato dal dio Amore, ove il nobile protagonista giunge al seguito del corteo, le tre schiere hanno una collocazione corrispondente: di premio o di punizione, secondo criteri analoghi a quelli riscontrati nella cavalcata. In una radura ci sono tre zone concentriche: quella più interna (Amoenitas) è una sorta di paradiso terrestre, e lì, all’ombra di un grande albero e presso il trono del dio Amore, risiedono felici con i loro cavalieri le donne che amarono e si lasciarono amare cortesemente; nella zona intermedia (Humiditas), su prati inondati da acqua gelida, sono collocate le donne di facili costumi; in quella più esterna (Siccitas), arsa da un sole cocente, si trovano le donne che si vollero mantenere caste, ora costrette, per maggiore tormento, a sedere su dolorosi fasci di spine.

Sono in campo canoni in antitesi rispetto a quelli cristiani

7)    Non si può non notare il fatto che qui l’amore di cui si parla sia assolutamente dissociato dall’idea cristiana di peccato, ed anzi esaltato e premiato nell’oltretomba, quando praticato in vita secondo canoni evidentemente diversi da quelli cristiani. Né può sfuggire che, nella visione testé narrata, la condizione peggiore (direi ‘infernale’, adottando una categoria che appartiene all’oltretomba cristiano) è riservata alle donne che praticarono la castità, ovvero la virtù per eccellenza secondo la morale cristiana (le donne più miserabili di tutte, che, in vita, chiusero la porta a tutti quelli che volevano entrare nel palazzo di amore... rifiutarono e respinsero come odiosi coloro che chiedevano di servire in amore), mentre una sorta di ‘regno intermedio’ c’è per le donne che, vere e proprie lussuriose, si concessero indiscriminatamente (donne immonde, che, in vita, non ebbero ritegno di offrirsi al piacere di tutti, consentirono al desiderio di chiunque chiedesse…); al ‘paradiso’ hanno accesso le donne che non negarono il loro amore, ma corrisposero, com’era giusto e doveroso, alla richiesta degli amanti cortesi (donne beatissime, che, in vita, seppero saggiamente offrirsi ai cavalieri d’amore e concessero tutto il loro favore a quelli che volevano amarle).

8)    Appare dunque evidente che la concezione che ispira la visione di Andrea è in aperto contrasto con la dottrina cristiana, anzi si struttura come una vera e propria religione antitetica a quella cristiana: c’è un’oltretomba, come s’è visto, e c’è un dio, Amore, che attribuisce premi e castighi secondo un rigoroso contrappasso, che determina la condizione ultraterrena in relazione al comportamento tenuto in vita.

I canoni dell’ “amor cortese”

9)    I canoni diversi rispetto a quelli cristiani non sono altro che i canoni del cosiddetto “amor cortese” (o fin amor, ovvero “amore raffinato”, come è chiamato in lingua d’oc). Si tratta di una concezione originale dell’amore, espressa per la prima volta dalla lirica d’amore che nasce in Provenza nel XII secolo e di cui Andrea Cappellano con il suo trattato è il vero teorico e grande divulgatore. E’ una concezione decisamente nuova rispetto all’antichità e con caratteristiche peculiari.

10)                      Più precisamente: 1) l’amore è un sentimento nobile e nobilitante, proprio soltanto di chi ha costumi, ed animo, “cortesi”; 2) il poeta si dichiara vassallo della donna, cui si sottomette con umiltà e fedeltà (si parla infatti anche di “vassallaggio d’amore”, estendendo al rapporto d’amore il rapporto di vassallaggio che esiste nella società feudale); 3) la donna è innalzata al di sopra dell’uomo (fatto che non riflette condizioni sociali, giacché la condizione della donna nelle istituzioni feudali è di assoluta subalternità); 4) è un amore estraneo al matrimonio, anzi, si potrebbe dire che l’adulterio ne è un carattere qualificante (ciò non solo è evidente nella letteratura cortese, dalla lirica provenzale ai romanzi cavallereschi – si pensi ad esempio all’amore fra Lancillotto e Ginevra – ma è espressamente dichiarato proprio da Andrea: “nessuna donna, anche moglie di re, potrà essere degna di elogio in amore, se non amerà fuori del vincolo coniugale”; è un aspetto che può sembrare strano, ma lo si può comprendere se si pensa che in quel mondo il matrimonio ha ben poco a che fare con l’amore, ma piuttosto è determinato da logiche di interesse e di convenienza politica).

Una concezione nuova rispetto all’antichità

11)                      E’ una concezione nuova perché nella letteratura classica l’amore è sentito come sensuale, fonte di gioia e dolore, ma sempre, in definitiva, non certo come un sentimento nobile e nobilitante, ma come una malattia che fa perdere il senno; e la donna non è altro che proprietà dell’uomo (nell’Iliade, Elena e Briseide sono semplici oggetti di lite; nell’Odissea, Penelope fa parte dei possedimenti di Ulisse, e infatti di lei come dei possedimenti intendono impadronirsi i Proci).

12)                      Non mi dilungherò sulle varie spiegazioni che si sono date sulle origini (latine, celtiche, germaniche, arabe, cristiane) della concezione “cortese” dell’amore. Mi limito a dire che non è convincente l’idea che sia stato il cristianesimo, con il culto della vergine Maria, a portare ad una idealizzazione della donna; al contrario, secondo molti studiosi, è più probabile che il culto della Vergine sia un effetto e non una causa dell’amor cortese – e, su tutto un altro piano, un effetto ci sarebbe stato anche nel gioco degli scacchi, per cui a un certo momento la donna (la regina) ha preso il sopravvento su tutti gli altri pezzi.

Si esalta la passione amorosa, estranea al matrimonio di interesse

13)                      Di più, non si può non notare che, nella concezione cortese, l’amore è sì sentito come un sentimento nobile e nobilitante, ma non per questo è ridotto ad un fatto puramente spirituale, depauperato delle sue componenti erotico-sensuali: al contrario, tali componenti  sono apertamente valorizzate nel trattato di Andrea e il fatto che l’adulterio ne sia un canone qualificante, dimostra una volta di più, se ce ne fosse bisogno, che l’amore di cui si tratta è un amore-passione, in forza di ciò legittimato a realizzarsi al di fuori dei vincoli di interesse e convenienza connessi con il matrimonio. In altre parole si potrebbe anche dire che la dottrina in questione, di cui Andrea è il grande divulgatore, intende dare dignità morale a quella passione amorosa da sempre oggetto della riprovazione della Chiesa.

Passione sempre condannata dalla dottrina cristiana

14)                      Nel merito, la storia secolare dell’atteggiamento della Chiesa, da Paolo di Tarso a Tommaso d’Aquino, è sostanzialmente una storia di condanne: la passione d’amore, che travolge la ragione, è peccaminosa, è il segno dell’imperfezione umana dopo la Caduta; l’amore carnale, fuori del matrimonio, non si giustifica in alcun modo, nel matrimonio è tollerato ai fini della procreazione, ma, anche in questo caso, con le dovute cautele, perché il desiderio è intrinsecamente malvagio. Basterà ricordare, per tutti, Gerolamo che, nell’Adversus Jovinianum, bolla così il desiderio troppo intenso del marito: “E’ adultero chi ama la propria moglie con troppo ardore... L’uomo saggio deve amare la moglie con giudizio, non con passione... Non c’è niente di più turpe che amare la moglie come un’adultera”.

La condanna del De amore e la crociata anti-catara

15)                      E infatti la condanna della Chiesa si abbattè sul libro di Andrea nel 1277, per opera del vescovo di Parigi, Stephan Tempier. E si noti che non valse ad Andrea il fatto di aver rinnegato nel terzo libro tutte le tesi sull’amore sostenute nei primi due libri. Ma quella condanna non era che l’ultimo anello di una catena che aveva finito per strangolare, insieme a quell’etica inaccettabile per l’ortodossia cattolica, la grande cultura cortese fiorita nel sud della Francia.

16)                      Quella cultura era fiorita negli stessi luoghi in cui si era affermata l’eresia dei catari. Quale che fosse la relazione fra il catarismo e la concezione dell’amor cortese (una relazione molto stretta, secondo alcuni studiosi), non c’è dubbio che la crociata contro gli Albigesi (dalla città di Albi, nel sud della Francia, dove l’eresia era particolarmente diffusa) indetta da papa Innocenzo III nel 1209, non si limitò ad estirpare la mala pianta dell’eresia, ma determinò anche in modo irreversibile il tramonto di quella civiltà. In particolare, non poteva avere cittadinanza all’interno della comunità cristiana quella concezione dell’amore che celebrava apertamente una passione tutta terrena e addirittura idealizzava l’adulterio: fu perseguita come una peste, come il frutto avvelenato di quella haeretica pravitas che, in spregio del matrimonio, sembrava aver rovesciato il detto paolino (melius est nubere quam uri) nel suo contrario (melius est uri quam nubere).

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