Boccaccio:
la novella di Nastagio degli Onesti
1)
Alla luce piena del giorno avviene anche
la visione di cui narra Boccaccio
nella novella di Nastagio degli
Onesti. E questo sarebbe già il segno, se non ci fossero anche altri
e ben vistosi elementi, di una mentalità
non più ossessionata dalla paura del peccato e della dannazione eterna.
Si tratta di una visione che presenta tali somiglianze con quella del
carbonaio di Niversa da far pensare che la fonte sia comune o che Boccaccio
conoscesse Passavanti.
2)
Leggo il testo. Nastagio, nobile ravennate,
s’innamorò
d’una figliuola di messer Paolo
Traversaro, giovane troppo più nobile che esso non era, prendendo speranza
con le sue opere di doverla trarre a amar lui. Le quali, quantunque
grandissime, belle e laudevoli fossero, non solamente non gli giovavano, anzi
pareva che gli nocessero, tanto cruda e dura e salvatica gli si mostrava la
giovinetta amata, forse per la sua singular bellezza o per la sua nobiltà sì
altiera e disdegnosa divenuta, che né
egli né cosa che gli piacesse le piaceva. La qual cosa era tanto a Nastagio
gravosa a comportare, che per dolore più
volte dopo essersi doluto gli venne in disidero d’uccidersi; poi, pur tenendosene, molte volte si mise in
cuore di doverla del tutto lasciare stare, o se potesse d’averla in odio come
ella aveva lui. Ma invano tal proponimento prendeva, per ciò che pareva che
quanto più la speranza mancava, tanto più multiplicasse il suo amore. Perseverando adunque il giovane e nello
amare e nello spendere smisuratamente, parve a certi suoi amici e
parenti che egli sé e ’l suo avere
parimente fosse per consumare; per la qual cosa più volte il pregarono
e consigliarono che si dovesse di Ravenna partire e in alcuno altro luogo per
alquanto tempo andare a dimorare, per ciò che, così faccendo, scemerebbe l’amore e le spese.
Nastagio
si lascia convincere ad allontanarsi da Ravenna, ma finge di andare lontano
e invece si ritira nella vicina Chiassi
dove continua a pensare alla giovane Traversari e a condurre “la più bella vita e
la più magnifica”, come quando stava a Ravenna (fa infatti portare
tende e baracche, organizza banchetti “or
questi e or quegli altri invitando a cena e a desinare, come usato s’era”).
Qui un giorno, quasi all’entrata di maggio, verso mezzogiorno, essendo
uno bellissimo tempo, mentre immerso nei suoi pensieri si inoltra nella
pineta, assiste alla seguente scena:
Vide
venire per un boschetto assai folto d’albuscelli e di pruni, correndo verso il luogo dove egli era, una
bellissima giovane ignuda, scapigliata e tutta graffiata dalle frasche e da’
pruni, piagnendo e gridando forte mercé; e oltre a questo le vide a’
fianchi due grandi e fieri mastini,
li quali duramente appresso correndole spesse
volte crudelmente dove la giugnevano la mordevano; e dietro a lei vide
venire sopra un corsier nero un cavalier
bruno, forte nel viso crucciato, con uno stocco in mano, lei di morte con
parole spaventevoli e villane minacciando. Questa cosa a un’ora maraviglia
e spavento gli mise nell’animo e ultimamente compassione della sventurata
donna, dalla qual nacque disidero di liberarla da sì fatta angoscia e morte, se
el potesse. Ma senza arme trovandosi, ricorse a prendere un ramo d’albero in
luogo di bastone e cominciò a farsi incontro a’ cani e contro al cavaliere. Ma
il cavaliere che questo vide gli gridò di lontano: «Nastagio, non t’impacciare,
lascia fare a’ cani e a me quello che questa malvagia femina ha meritato».
E così dicendo, i cani, presa forte la giovane ne’ fianchi, la fermarono, e il
cavaliere sopra giunto smontò da cavallo; al quale Nastagio avvicinatosi disse:
«Io non so chi tu ti se’ che me così cognosci, ma tanto ti dico che gran viltà
è d’un cavaliere armato volere uccidere una femina ignuda e averle i cani alle
coste messi come se ella fosse una fiera salvatica: io per certo la difenderò
quant’io potrò». Il cavaliere allora disse: «Nastagio, io fui d’una medesima
terra teco, e eri tu ancora piccol fanciullo quando io, il quale fui chiamato messer Guido degli
Anastagi, era troppo più innamorato di costei che tu ora non se’ di quella de’
Traversari; e per la sua fierezza e crudeltà andò sì la mia sciagura,
che io un dì con questo stocco, il quale tu mi vedi in mano, come disperato m’uccisi, e sono alle
pene eternali dannato. Né stette poi guari tempo che costei …. morì, e per lo peccato della sua crudeltà e
della letizia avuta de’ miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciò aver peccato ma meritato, similmente
fu e è dannata alle pene del Ninferno. Nel quale come ella discese, così ne
fu e a lei e a me per pena dato, a lei di fuggirmi davanti e a me, che già
cotanto l’amai, di seguitarla come
mortal nemica, non come amata donna; e quante volte io la giungo, tante
con questo stocco, col quale io uccisi
me, uccido lei e aprola per ischiena, e quel cuor duro e freddo, nel qual mai
né amor né pietà poterono entrare, con l’altre interiora insieme, sì come tu
vedrai incontanente, le caccio di corpo e dolle mangiare a questi cani. Né
sta poi grande spazio che ella, sì come la giustizia e la potenzia di Dio
vuole, come se morta non fosse stata, risurge
e da capo incomincia la dolorosa fugga, e i cani e io a seguitarla. E
avviene che ogni venerdì in su questa ora io la giungo qui e qui ne fo lo
strazio che vederai; e gli altri dì non credere che noi riposiamo, ma
giungola in altri luoghi ne’ quali ella crudelmente contro a me pensò o operò; e
essendole d’amante divenuto nemico, come tu vedi, me la conviene in questa
guisa tanti anni seguitar quanti mesi
ella fu contro a me crudele. Adunque lasciami la divina giustizia mandare a
essecuzione, né ti volere opporre a quello a che tu non potresti contrastare». Nastagio, udendo queste
parole, tutto timido divenuto e quasi non avendo pelo addosso che arricciato
non fosse, tirandosi adietro e riguardando alla misera giovane, cominciò
pauroso a aspettare quello che facesse il cavaliere; il quale, finito il suo
ragionare, a guisa d’un cane rabbioso con lo stocco in mano corse addosso
alla giovane, la quale inginocchiata e da’ due mastini tenuta forte gli gridava
mercé, e a quella con tutta sua
forza diede per mezzo il petto e passolla dall’altra parte. Il qual colpo
come la giovane ebbe ricevuto, così cadde boccone sempre piagnendo e gridando:
e il cavaliere, messo mano a un
coltello, quella aprì nelle reni, e fuori trattone il cuore e ogni altra cosa
da torno, a’ due mastini il gittò, li quali affamatissimi incontanente il
mangiarono. Né stette guari che la giovane, quasi niuna di queste cose
stata fosse, subitamente si levò in piè e cominciò a fuggire verso il mare, e i
cani appresso di lei sempre lacerandola: e il cavaliere, rimontato a cavallo e
ripreso il suo stocco, la cominciò a seguitare, e in picciola ora si
dileguarono in maniera che più Nastagio non gli poté vedere.
La
trovata di Nastagio e la conclusione “onorevole”
3)
Nastagio, dopo essere stato per un po’
tra pietoso e pauroso, capisce di poter sfruttare l’informazione a proprio
vantaggio. Per il venerdì successivo fa apparecchiare proprio in quel punto
un grande banchetto, cui invita parenti, amici e tutta la famiglia Traversari. La bella da lui amata, quindi, assiste alla scena raccapricciante, ascolta la spiegazione del cavaliere e
non può non riconoscere che la stessa sorte della fanciulla dannata sarà
riservata a lei, se continuerà a rifiutare il suo amore a Nastagio. Pertanto
nottetempo gli manda una sua cameriera per fargli sapere che ella
era presta di far tutto ciò che fosse piacer di lui. Nastagio se ne
rallegra, ma risponde che con onor di lei voleva il suo piacere, e
questo era sposandola per moglie. Lei acconsente e la storia si
conclude con il lieto fine del matrimonio cui fa seguito una lunga vita felice.
La
visione è simile a quella di Passavanti, ma il senso è contrario
4)
E dunque qui la caccia infernale ha una funzione esattamente opposta a quella
che aveva nell’exemplum di Passavanti.
Là doveva insegnare che cedere alla passione amorosa è un peccato degno, dopo
la morte, delle pene più terribili; in
Boccaccio, al contrario, è la ritrosia in amore ad essere indicata come degna
del castigo divino, e la visione serve a persuadere le donne che è
bene accondiscendere alla richiesta d’amore. E’ vero infatti
che, come si dice chiaramente, la donna è punita per aver causato il
suicidio dell’innamorato respinto e per essersene compiaciuta; ma dal senso
complessivo della novella, avvalorato dalla stessa conclusione, si capisce bene
che tale aspetto passa in secondo piano
(come l’uxoricidio nell’exemplum di
Passavanti) rispetto a quello dell’amore negato.
Ritornano
gli ideali cortesi teorizzati da Andrea
5)
E’ evidente che Boccaccio ha
innestato sul modello cristiano della caccia tragica rappresentato da
Passavanti, elementi che provenivano da tutt’altra tradizione, e precisamente
da quella che fa capo al De amore di
Andrea Cappellano. Qualche osservazione basterà a dimostrarlo. Anzitutto, i
protagonisti della novella si muovono in un
mondo che richiama alla memoria, col nome stesso delle famiglie degli Onesti,
dei Traversari e degli Anastagi, ambienti di gioiosa e raffinata cortesia;
e cortesi sono i modi di Nastagio, sia perché ama una donna di condizione
sociale superiore alla sua (troppo più nobile che esso non era),
come espressamente raccomandato da Andrea, sia perché, per amore, conduce la
più bella vita e la più magnifica che mai si facesse. Nastagio infatti
segue il precetto della liberalità (largueza,
in lingua d’oc), fondamentale per un
amante cortese, secondo cui si deve
evitare l’avarizia e usare con generosità la propria ricchezza: un
precetto anche questo raccomandato nel De
amore e ripetutamente esaltato nella letteratura cortese, sia francese che
provenzale.
La
luce, la stagione, il paesaggio e la prevalenza del naturale
6)
Entrando nel dettaglio, non solo l’ora meridiana (di cui s’è già detto), ma
anche la stagione primaverile e il paesaggio ameno della pineta, che fanno
da sfondo alla visione di Nastagio, ne indicano l’affinità con la visione del
cavaliere nel libro di Andrea; e il
tutto, in Boccaccio, contribuisce a mitigare l’orrore della scena. Al
contrario, l’atmosfera cupa e tenebrosa,
propria della predica di Passavanti,
intendeva senz’altro accentuare quell’orrore.
7)
Quanto alla scena in sé, è vero che il
cacciatore è altrettanto spietato e violento (la caccia è altrettanto
"tragica") in ambedue le visioni, di Nastagio e del carbonaio di
Niversa: ma mentre in Passavanti la
distanza dal quotidiano è volutamente marcata con l’insistenza sul
soprannaturale (si pensi a quel
cavallo e quel cavaliere che spirano fuoco dagli occhi, dal naso e dalla bocca)
e sul sangue (cadendo in terra con molto
spargimento di sangue, la riprese per l’insanguinati capelli), in Boccaccio il soprannaturale è
limitato, per così dire, allo stretto necessario (la rinascita della donna
dopo lo squartamento), ed anche l’opera
del cacciatore, pur con i suoi particolari raccapriccianti, è tutto sommato
riconducibile alla quotidianità di un lavoro da macelleria (il
coltello sembra maneggiato con una certa professionalità, quando il
cacciatore dice aprola per ischiena, e quel cuor... con l’altre interiora insieme... le
caccio di corpo e dolle mangiare a questi cani ; e poi, di fatto, quella
aprì nelle reni, e fuori trattone il cuore e ogni altra cosa dattorno, a’ due
mastini il gittò). Del resto, quel banchetto preparato da Nastagio con
cura e raffinatezza (fece le tavole
mettere sotto i pini dintorno..., fatti mettere gli uomini e le donne a
tavola..., essendo adunque venuta l’ultima vivanda...) fa pensare ad una cortese brigata che si accinge ad assistere ad un
piacevole spettacolo, ancorché a tinte forti, invece che ad una terribile
visione: tutt’altra atmosfera
rispetto a quella, paurosa ed angosciante, che incombe sul conte e il carbonaio
di Niversa in attesa dell’evento.
Una
sensibilità non più medievale non avverte la presenza del divino
8)
Se ne può concludere, insomma, che Boccaccio tratta quel materiale medievale
con una sensibilità che non è più medievale, non solo perché rovescia
beffardamente le funzione di un exemplum edificante, ma anche perché,
coi modi stessi della narrazione, dimostra
di non avvertire, se non pretestuosamente, la presenza del divino (e del
diabolico) nelle vicende terrene. Così come, circa un secolo e mezzo prima,
non l’avvertiva Andrea Cappellano, il quale, altrettanto pretestuosamente,
per trattare d’amore si era servito del soprannaturale.
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