Una
sensibilità non più medievale non avverte la presenza del divino
1)
Se ne può concludere, insomma, che Boccaccio tratta quel materiale medievale
con una sensibilità che non è più medievale, non solo perché rovescia
beffardamente le funzione di un exemplum edificante, ma anche perché,
coi modi stessi della narrazione, dimostra
di non avvertire, se non pretestuosamente, la presenza del divino (e del
diabolico) nelle vicende terrene. Così come, circa un secolo e mezzo prima,
non l’avvertiva Andrea Cappellano, il quale, altrettanto pretestuosamente,
per trattare d’amore si era servito del soprannaturale.
L’etica
cortese corretta alla luce dell’etica borghese
2)
Nel tramonto del Medioevo, è dunque la
voce di Andrea che torna a farsi sentire. Ma l’etica cortese, cui Andrea aveva dato sistemazione nel suo
trattato, viene rivisitata e corretta alla luce dell’etica borghese,
ormai trionfante nella società cui Boccaccio appartiene. Si pensi, ad esempio,
a una certa aura di negatività che nella
novella, a dispetto del precetto cortese della liberalità, si riverbera da
quello spendere smisuratamente di
Nastagio (talché, come si dice nella novella, i suoi parenti temono per il
patrimonio);[1]
o anche, ed è elemento davvero vistoso, alla scelta finale del matrimonio ‘onorevole’, che contraddice seccamente
quella precettistica. Bisognerà appunto considerare che Boccaccio, per quanto guardi con
sincera nostalgia alle idealità di un mondo ormai lontano, è pur sempre l’interprete di una società (borghese) in cui si sono
imposti altri valori, si rivolge ad un pubblico per il quale il lieto fine non può essere dissociato dall’amministrazione
oculata del patrimonio e dal rispetto delle convenienze sociali. Si
potrebbe dire che etica cortese ed
etica borghese si sono alleate, individuando nell’etica cristiana il comune
nemico
L’amore
non è peccato, ma forza incomprimibile della natura
3)
In altre parole, riconoscere il tono parodistico della novella di Nastagio (che
certamente esiste) non vuol dire negare a Boccaccio l’intenzione consapevole
(del resto evidente in tanti luoghi del Decamerone)
di sottrarre l’amore al regno del
peccato per collocarlo in quello dei bisogni naturali dell’uomo. Passavanti
è lontano, ma è lontano anche Dante. L’amore
terreno non è più esecrato come causa di dannazione, ma nemmeno è liberato dal
peso della sua materialità perché possa indirizzarsi al cielo: è
semplicemente accettato come una forza incomprimibile della natura, che
determina, al pari e più di altre, i comportamenti dell’uomo.
Anche
qui Boccaccio anticipa la nuova concezione del Rinascimento
4)
E naturalmente non desta meraviglia che
a tale mutamento di prospettiva dia voce un autore così rappresentativo di quell’età di transizione in cui comincia
ad affermarsi una nuova concezione dell’uomo e del mondo.
Due
riprese nel Rinascimento
5)
Non sarà un caso se alla fine del Quattrocento, Botticelli
- che pure opera in un ambiente di alta spiritualità quale quello neo-platonico
della corte di Lorenzo de’ Medici - illustrerà proprio la novella di Nastagio
in quattro tavolette destinate a
decorare la cassa da corredo per una sposa; e se in pieno Rinascimento, Ariosto, visibilmente
riallacciandosi a quella tradizione che risaliva ad Andrea Cappellano, immaginerà, nel suo Orlando Furioso, punite all’inferno, ancora una volta, le donne che
non vollero amare ed essere amate.
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