martedì 28 maggio 2024

L'amore e l'altro mondo nell'immaginario medievale (III parte)

 

Passavanti: l’exemplum del carbonaio di Niversa

1)    Chi non patisce un siffatto dramma interiore, ma ha invece solide certezze, è Jacopo Passavanti, il frate domenicano vissuto nelle prima metà del sec. XIV, autore di un trattato (lo Specchio di vera penitenza) in cui sono raccolte le prediche da lui stesso tenute nella quaresima del 1354. Servendosi di racconti esemplari quanto mai vividi, Passavanti intende ammonire i fedeli ad astenersi dal peccato e a fare penitenza, se non vogliono incorrere, dopo la morte, nei rigori della giustizia divina. Fra questi, l’exemplum del carbonaio di Niversa è certamente uno dei più famosi; ed è anche interessante per il nostro discorso, perché, essendo ancora una volta la passione d’amore il peccato oggetto di punizione nell’aldilà, richiama inevitabilmente alla memoria le precedenti visioni di Dante e di Andrea Cappellano.

2)    Vi si racconta di come un carbonaio assista nottetempo, mentre veglia presso la fossa accesa dei carboni, alla visione terrificante di una, cosiddetta, "caccia tragica". Leggo il passo:

vide venire in verso la fossa correndo e stridendo una femmina iscapigliata e ignuda; e dietro le veniva uno cavaliere in su uno cavallo nero, correndo, con uno coltello ignudo in mano: e della bocca, e degli occhi, e del naso del cavaliere e del cavallo usciva una fiamma di fuoco ardente. Giugnendo la femmina alla fossa che ardeva, non passò più oltre, e nella fossa non ardiva di gittarsi, ma correndo intorno alla fossa fu sopraggiunta dal cavaliere, che dietro le correva: la quale traendo guai, presa per li svolazzanti capelli, crudelmente la ferì per lo mezzo del petto col coltello che tenea in mano. E, cadendo in terra, con molto spargimento di sangue, sì la riprese per li insanguinati capelli, e gittolla nella fossa de’ carboni ardenti: dove, lasciandola stare per alcuno spazio di tempo, tutta focosa e arsa la ritolse; e ponendolasi davanti in su il collo del cavallo, correndo se ne andò per la via onde era venuto

La visione si presenta identica per tre notti, finché il carbonaio ne parla al conte di Niversa, il quale assiste di persona alla visione e quindi, per quanto spaventato, osa chiederne ragione al feroce cavaliere. E questi gli risponde:

“sappi ch’io fui Giuffredi tuo cavaliere, e in tua corte nutrito. Questa femmina contro alla quale io sono tanto crudele e fiero, è dama Beatrice, moglie che fu del tuo caro cavaliere Berlinghieri. Noi, prendendo piacere di disonesto amore l’uno dell’altro, ci conducemmo a consentimento di peccato; il qual a tanto condusse lei che, per potere più liberamente fare il male, uccise il suo marito. E perseverammo nel peccato insino alla infermitade della morte….” E domandando il conte che gli desse ad intendere le loro pene più specificatamente, rispuose con lacrime e con sospiri, e disse: «Imperò che questa donna per amore di me uccise il marito suo, le è data questa penitenzia, che, ogni notte tanto quanto ha istanziato la divina iustizia, patisca per le mie mani duolo di penosa morte di coltello, e imperò ch’ella ebbe in verso di me ardente amore di carnale concupiscienzia, per le mie mani ogni notte, è gittata ad ardere nel fuoco, come nella visione vi fu mostrato. E come già ci vedemmo con grande disio e con piacere di grande diletto, così ora ci veggiamo con grande odio, e ci perseguitamo con grande sdegno. E come l’uno fu cagione all’altro d’accendimento di disonesto amore, così l’uno è cagione all’altro di crudele tormento: ché ogni pena ch’io fo patire a lei, sostengo io, ché il coltello di che io la ferisco, tutto è fuoco che non si spegne; e, gittandola nel fuoco, e traendonela e portandola, tutto ardo io di quello medesimo fuoco che arde ella. Il cavallo è uno dimonio al quale noi siamo dati, che ci ha a tormentare

Siccome poi, aggiunge il cavaliere, loro due peccatori si pentirono in punto di morte, la misericordia di Dio mutò la pena eterna dello ’nferno in pena temporale di purgatorio; pertanto egli sollecita preghiere, elemosine e messe affinché le loro sofferenze siano alleviate.

L’amore cortese condannato senza dubbi e perplessità

3)    Questo l’exemplum narrato da Passavanti. E non si può non avvertire che, per quanto la pena descritta sia di purgatorio e non di inferno, temporanea e non eterna, purtuttavia la stessa è così orribile che al confronto impallidisce la pena di Paolo e Francesca (i quali, nel loro inferno, non si vedono con odio e terrore, ma insieme vanno ancora legati da un amore che sembra sfidare la stessa legge divina che li ha dannati). E’ evidente che per fra’ Jacopo la passione d’amore non ammette scusanti, non porta con sé alcun segno di nobiltà, è ormai soltanto esecrabile concupiscenza della carne: la morale cristiana ha fatto valere appieno i suoi principi, senza più dubbi e senza perplessità, quei dubbi e quelle perplessità che avevano reso così dolorosamente lacerante l’incontro di Dante con Francesca.

Più che l’uxoricidio la colpa è il “disonesto amore”

4)    E si badi: non è tanto l’uxoricidio (apro una parentesi: il termine “uxoricidio” in italiano indica non solo l’uccisione della moglie, uxor in latino, ma anche quella del marito da parte della moglie), quanto il disonesto amore (nel testo ripetuto due volte) a determinare per i due (e per la donna in particolare) una punizione così terribile; l’uccisione del marito è tuttalpiù un aggravante, certo una conseguenza, come ogni altra nefandezza, di un peccato che comporta offuscamento della ragione (di un peccato proprio di coloro che, appunto, la ragione sommettono al talento).

5)    Dunque, il disonesto amore: e "disonesto" perché adulterino. Niente di più distante dalle teorizzazioni di Andrea Cappellano. Là l’adulterio, lungi dall’essere deplorato, era raccomandato. Né si può pensare che in Passavanti la "disonestà" sia associata alla mancanza di cortesia dei due protagonisti; perché è vero che niente si dice sui loro costumi e che il cavaliere non tenta di giustificare - a differenza di quel che fa Francesca - con il "cuore gentile" la caduta nel peccato; ma è anche vero che il loro nobile lignaggio (lui è cavaliere, “nutrito” alla corte del conte; lei è “dama Beatrice”) lascia intendere di per sé, in mancanza di indicazioni contrarie, un mondo di belle cortesie, all’interno del quale, secondo la dottrina enunciata da Andrea, quell’amore, ancorché carnale e adulterino, avrebbe avuto pieno titolo per realizzarsi.

La visione è notturna, come in Dante, mentre è diurna in Andrea

6)    Ma vediamo qualche altro particolare. L’ombra nera della notte avvolge la scena, una notte lugubre, rischiarata dal rosso vivo dei carboni accesi e del fuoco che spira della boca e degli ochi e dello naso del cavaliere e del cavallo. E’ la notte che si addice al peccato: la tenebra materiale corrisponde ora a quella tenebra che in vita rese cieca la ragione, quando la lussuria prese il sopravvento. Anche per Francesca, nell’Inferno di Dante, c’è la notte, il loco d’ogne luce muto (famosa sinestesia), il buio senza tempo e senza fine del mondo sotterraneo. Se la luce è vita ed è salvezza, non può esserci la luce per i dannati all’inferno.

7)    Alla luce piena del giorno avveniva invece, nella visione di Andrea Cappellano, l’incontro del cavaliere con il corteo guidato dal dio Amore. Lì evidentemente la passione amorosa non implicava in alcun modo l’idea di peccato; e questo non solo perché, come s’è visto, ad essere punita era piuttosto la castità, ma anche perché quell’oltretomba era associato ad un paesaggio terreno rischiarato dal sole, la visione non comportava il passaggio ad una dimensione allucinata ed angosciante, ma si compiva in un ambiente naturale i cui elementi, per quanto dolorosi, sono riconoscibili e familiari, appartengono alla quotidianità (il sole cocente, la polvere, i cavalli zoppi e macilenti, le spine). E ciò sembra appropriato ad una concezione laica che si serve sì, in ossequio alle idee dominanti, di una visione ultraterrena, ma sostanzialmente tratta in termini naturali e terreni una questione naturale e terrena come l’amore fra l’uomo e la donna.

 

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