Gli
ideali dell’amor cortese importati in Italia
1)
Ma in Italia, nel 1277, la “peste” si
era già diffusa. Non solo perché a quella data il De amore risulta già conosciuto, ma proprio perché la lirica siciliana dell’età di Federico
II sembra avere importato in Italia quegli ideali di amore cortese, banditi
nelle terre d’origine. Di quegli ideali si nutre più di una generazione
di poeti, quegli ideali (e quindi il De
amore, che li organizza sistematicamente) costituiscono una componente
fondamentale nella cultura di ogni poeta del sec. XIII, dai siciliani agli "stilnovisti", da Jacopo da Lentini a
Dante .
Dante
li assume, ma infine si scontrano con la
sua fede cristiana
2)
Dante ha letto gli autori
provenzali, conosce il trattato di Andrea, padroneggia
quelle problematiche, come era pressoché
indispensabile per chiunque volesse trattare d’amore. Ma è per lui un
bagaglio sempre più pesante, in quanto quella cultura, con quel sistema di
valori, in particolare con quella
concezione laica dell’amore, non può non scontrarsi, nella sua coscienza, con i
dettami della morale cristiana. Di tale scontro - e della continua
ricerca di una superiore conciliazione - è testimonianza esemplare il percorso
poetico che conduce dalla Vita Nova alla Commedia.
L’episodio
di Francesca e il confronto con la visione di Andrea
3)
Ed è interessante notare come proprio l’episodio
di Francesca, nel V dell’Inferno, sia segno di un rapporto intensamente, e drammaticamente, vissuto dall’autore con i
modelli proposti dalla cultura cortese. Un rapporto mai dimenticato, ma ormai inaccettabile alla
luce di una concezione che ha tolto
all’amore ogni connotazione mondana per collocarlo in una dimensione
autenticamente religiosa (di una religione, cioè, fedele a Cristo e non al dio Amore).
4)
Nel V dell’Inferno ci troviamo di fronte
ad una visione dell’oltretomba che, fatte le debite proporzioni, non può
non rievocare quella immaginata da Andrea nel I libro del De amore: in entrambi i casi
è la passione d’amore l’elemento rispetto al quale si è giudicati e
"mandati" per l’eternità. E dunque non pare
improprio il confronto, e non solo perché è
comune l’idea del viaggiatore, perdutosi nella selva, cui è concesso di
apprendere la condizione nell’aldilà perché possa riferirne ad ammaestramento
dei viventi; o perché tale condizione appare regolata, analogamente, dalla
legge del contrappasso, o per altre similitudini che vi si vogliano
riscontrare; quanto perché il confronto
ci consente di misurare appieno la distanza che separa le due concezioni, una
distanza che conduce addirittura ad un rovesciamento di prospettiva, ad una
inconciliabile opposizione.
Ma
Francesca è dannata proprio per il suo amore cortese
5)
L’amore esaltato da Andrea, l’amore
proprio di chi ha cuore gentile, l’amore nobile e nobilitante, e perciò
santificato nel suo oltretomba, è
diventato nella Commedia peccato di
lussuria, proprio di coloro che “la
ragione sommettono al talento”, un
peccato che conduce alla dannazione eterna. Analogamente, alla
condizione beata delle donne cui è reso ogni onore e servizio nella visione di
Andrea, corrisponde nella Commedia la
condizione di Francesca, travolta per sempre dalla bufera infernale. E si
badi: il comportamento per cui Francesca
è punita non differisce da quello che nel De
amore si raccomanda come esemplare; non differisce, perché Francesca non ha concesso il suo amore
indiscriminatamente, ma, lei gentile, ha corrisposto all’amore di un uomo
gentile, com’era doveroso; né è l’adulterio a fare la differenza, visto che
la condizione extra-coniugale degli amanti è indicata espressamente nel
trattato di Andrea come qualificante l’autenticità dell’amore. Queste cose Francesca le sa:
perciò dichiara a voce alta la sua colpa, che lei continua a non sentire come
una colpa.
6)
E ovviamente, ancor prima di lei, le sa l’autore della Commedia, che qui si trova non solo a regolare i conti con la grande
tradizione della cultura cortese, ma anche
a combattere con i fantasmi della propria giovinezza: non altrimenti si
spiega la forte intensità emotiva che
pervade l’intero episodio, e coinvolge, come mai in seguito, il visitatore
dell’oltretomba fino al punto estremo di non sopportazione (Io
venni meno sì com’io morisse. / E caddi come corpo morto cade).
Le
tre terzine famose rimandano ad Andrea e a Guinizzelli
7)
Le parole con cui Francesca si
giustifica sono quelle racchiuse dalle terzine famose, introdotte dalla triplice
anafora:
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor
m'offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense
Queste sono parole care alle
orecchie di Dante: con quelle parole sono professati i principi dell’amor
cortese, quasi nei termini di una traduzione delle regole
enunciate da Andrea nel De amore. Di
più: il primo verso (Amor ch’al cor
gentil ratto s’apprende) rimanda ad un
autore amatissimo (il padre / mio e
de gli altri miei miglior che mai / rime d’amor usar dolci e leggiadre), quel Guinizzelli, maestro
indimenticabile, che aveva cantato Al cor
gentil rempaira sempre amore; un insegnamento ben recepito
dall’allievo, che l’aveva ripreso in un sonetto della Vita Nova (Amore e ’l cor gentil sono una cosa, / sì
come il saggio in suo dittare pone).
8)
Ma anche il "saggio"
aveva sbagliato: non aveva visto il
pericolo implicito nell’affermazione di quella identità (tra amore e cor
gentile), non era riuscito a liberarsi
completamente della zavorra che tratteneva a terra quell’idea dell’amore.
Beatrice ha indicato un’altra strada: l’amore
virtuoso si determina, sì, fra persone fisicamente concrete, ma è capace di
staccarsi dalla materialità corporea, si risolve in un processo di
purificazione interiore, diventa elevazione al cielo. Fuori di questa
strada c’è la prevaricazione del "talento"
sulla "ragione", e non
varranno nobili intenzioni e nobile sentire a salvare Francesca dalla
dannazione eterna. Per lei, e per la
sua umana debolezza, potrà esserci "pietà", ma nel buio del cerchio
in cui è relegata sarà per sempre travolta dal turbine, così come in vita si
lasciò travolgere dalla lussuria.
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