martedì 28 maggio 2024

L'amore e l'altro mondo nell'immaginario medievale (II parte)

 

Gli ideali dell’amor cortese importati in Italia

1)    Ma in Italia, nel 1277, la “peste” si era già diffusa. Non solo perché a quella data il De amore risulta già conosciuto, ma proprio perché la lirica siciliana dell’età di Federico II sembra avere importato in Italia quegli ideali di amore cortese, banditi nelle terre d’origine. Di quegli ideali si nutre più di una generazione di poeti, quegli ideali (e quindi il De amore, che li organizza sistematicamente) costituiscono una componente fondamentale nella cultura di ogni poeta del sec. XIII, dai siciliani agli "stilnovisti", da Jacopo da Lentini a Dante .

Dante li assume, ma  infine si scontrano con la sua fede cristiana

2)    Dante ha letto gli autori provenzali, conosce il trattato di Andrea, padroneggia quelle problematiche, come era pressoché indispensabile per chiunque volesse trattare d’amore. Ma è per lui un bagaglio sempre più pesante, in quanto quella cultura, con quel sistema di valori, in particolare con quella concezione laica dell’amore, non può non scontrarsi, nella sua coscienza, con i dettami della morale cristiana. Di tale scontro - e della continua ricerca di una superiore conciliazione - è testimonianza esemplare il percorso poetico che conduce dalla Vita Nova alla Commedia.

L’episodio di Francesca e il confronto con la visione di Andrea

3)    Ed è interessante notare come proprio l’episodio di Francesca, nel V dell’Inferno, sia segno di un rapporto intensamente, e drammaticamente, vissuto dall’autore con i modelli proposti dalla cultura cortese. Un rapporto mai dimenticato, ma ormai inaccettabile alla luce di una concezione che ha tolto all’amore ogni connotazione mondana per collocarlo in una dimensione autenticamente religiosa (di una religione, cioè, fedele a Cristo e non al dio Amore).

4)    Nel V dell’Inferno ci troviamo di fronte ad una visione dell’oltretomba che, fatte le debite proporzioni, non può non rievocare quella immaginata da Andrea nel I libro del De amore: in entrambi i casi è la passione d’amore l’elemento rispetto al quale si è giudicati e "mandati" per l’eternità. E dunque non pare improprio il confronto, e non solo perché è comune l’idea del viaggiatore, perdutosi nella selva, cui è concesso di apprendere la condizione nell’aldilà perché possa riferirne ad ammaestramento dei viventi; o perché tale condizione appare regolata, analogamente, dalla legge del contrappasso, o per altre similitudini che vi si vogliano riscontrare; quanto perché il confronto ci consente di misurare appieno la distanza che separa le due concezioni, una distanza che conduce addirittura ad un rovesciamento di prospettiva, ad una inconciliabile opposizione.

Ma Francesca è dannata proprio per il suo amore cortese

5)    L’amore esaltato da Andrea, l’amore proprio di chi ha cuore gentile, l’amore nobile e nobilitante, e perciò santificato nel suo oltretomba, è diventato nella Commedia peccato di lussuria, proprio di coloro che “la ragione sommettono al talento”, un peccato che conduce alla dannazione eterna. Analogamente, alla condizione beata delle donne cui è reso ogni onore e servizio nella visione di Andrea, corrisponde nella Commedia la condizione di Francesca, travolta per sempre dalla bufera infernale. E si badi: il comportamento per cui Francesca è punita non differisce da quello che nel De amore si raccomanda come esemplare; non differisce, perché Francesca non ha concesso il suo amore indiscriminatamente, ma, lei gentile, ha corrisposto all’amore di un uomo gentile, com’era doveroso; né è l’adulterio a fare la differenza, visto che la condizione extra-coniugale degli amanti è indicata espressamente nel trattato di Andrea come qualificante l’autenticità dell’amore. Queste cose Francesca le sa: perciò dichiara a voce alta la sua colpa, che lei continua a non sentire come una colpa.

6)    E ovviamente, ancor prima di lei, le sa l’autore della Commedia, che qui si trova non solo a regolare i conti con la grande tradizione della cultura cortese, ma anche a combattere con i fantasmi della propria giovinezza: non altrimenti si spiega la forte intensità emotiva che pervade l’intero episodio, e coinvolge, come mai in seguito, il visitatore dell’oltretomba fino al punto estremo di non sopportazione (Io venni meno sì com’io morisse. / E caddi come corpo morto cade).

Le tre terzine famose rimandano ad Andrea e a Guinizzelli

7)    Le parole con cui Francesca si giustifica sono quelle racchiuse dalle terzine famose, introdotte dalla triplice anafora:

     Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,

     prese costui de la bella persona

     che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

     Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

     mi prese del costui piacer sì forte,

     che, come vedi, ancor non m’abbandona.

     Amor condusse noi ad una morte.

     Caina attende chi a vita ci spense

 

Queste sono parole care alle orecchie di Dante: con quelle parole sono professati i principi dell’amor cortese, quasi nei termini di una traduzione delle regole enunciate da Andrea nel De amore. Di più: il primo verso (Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende) rimanda ad un autore amatissimo (il padre / mio e de gli altri miei miglior che mai / rime d’amor usar dolci e leggiadre), quel Guinizzelli, maestro indimenticabile, che aveva cantato Al cor gentil rempaira sempre amore; un insegnamento ben recepito dall’allievo, che l’aveva ripreso in un sonetto della Vita Nova (Amore e ’l cor gentil sono una cosa, / sì come il saggio in suo dittare pone).

8)    Ma anche il "saggio" aveva sbagliato: non aveva visto il pericolo implicito nell’affermazione di quella identità (tra amore e cor gentile), non era riuscito a liberarsi completamente della zavorra che tratteneva a terra quell’idea dell’amore. Beatrice ha indicato un’altra strada: l’amore virtuoso si determina, sì, fra persone fisicamente concrete, ma è capace di staccarsi dalla materialità corporea, si risolve in un processo di purificazione interiore, diventa elevazione al cielo. Fuori di questa strada c’è la prevaricazione del "talento" sulla "ragione", e non varranno nobili intenzioni e nobile sentire a salvare Francesca dalla dannazione eterna. Per lei, e per la sua umana debolezza, potrà esserci "pietà", ma nel buio del cerchio in cui è relegata sarà per sempre travolta dal turbine, così come in vita si lasciò travolgere dalla lussuria.

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