Due immagini di Manzoni
Il
giudizio di Caretti
1)
Vorrei ora contrapporre a questi
giudizi, il giudizio di Lanfranco Caretti, il quale riconosce il grande valore dell’opera manzoniana,
a prescindere dall’ideologia che essa comunica:
Appare evidente
l’energia attiva che sorregge il programma manzoniano e che traspare appunto
nel rifiuto dell’isolamento, nell’accentuazione del valore morale dell’arte
ricondotta dalle finzioni mitologiche alla misura della verità, nella piena coscienza della necessità di
rinnovare dal profondo le convenzioni poetiche, stilistiche e linguistiche
italiane (...) Se dietro l’ideologia manzoniana, con le sue attive virtù...
e i suoi limiti storici ineludibili,
c’è il retroterra illuministico, lombardo e francese..., dietro le pagine
creative, particolarmente nel romanzo, c’è invece soltanto l’ammirevole e
febbrile ricerca personale, direi addirittura perigliosamente solitaria, di un
artista profondamente innovatore. Un
artista che con lucida consapevolezza... liquida con le sole sue forze... le
istituzioni retoriche e linguistiche ufficiali e promuove, con una progressione
risoluta che si dimostrerà poi irreversibile, la ricerca di forme letterarie
sostanzialmente diverse da quelle del passato... Questa potente spinta a
superare lo scarto sempre più sensibile e anacronistico fra il livello della
nostra tradizione linguistica e letteraria e il livello delle idee ormai
correnti, costituisce, a parte ogni
riserva che poi si voglia avanzare sull’ideologia manzoniana..., il vero e
memorabile merito del Manzoni… Il Manzoni creava così in Italia, si può dire
dal nulla, il romanzo moderno… Non si dovrà dimenticare che Manzoni non
aveva pressoché nulla di esemplare a cui riferirsi, e non solo in Italia ma
anche all’estero.” (L. Caretti, da Alessandro
Manzoni, milanese )
2)
Caretti fa infatti notare che quando nel
1825 i Promessi sposi sono già un
libro interamente compiuto, i grandi romanzi di Stendhal devono ancora essere scritti e pubblicati e Balzac “era ancora ben lontano dal mettere mano ai primi tomi della sua grande Comédie
humaine. In quanto a Tolstoi, a cui troppo di frequente si confronta il Manzoni
con evidente stortura storica e perciò con ingiusto proposito riduttivo, dovrà
seguire a mezzo secolo di distanza, avendo ormai dietro di sé una splendida
tradizione di romanzo”
Il
mio parere: denuncia della responsabilità degli uomini
3)
Il mio modesto parere – peraltro
stimolato dalle acute osservazioni di Ezio Raimondi
nel saggio Romanzo senza idillio – è che, al di là dei meriti di
straordinaria e solitaria innovazione letteraria che Caretti attribuisce
all’opera manzoniana, si debba mettere in discussione anche
l’antimanzonismo per quanto riguarda l’ideologia che il romanzo comunica.
Penso cioè che non si debba accettare pedissequamente ma meriti qualche approfondimento l’idea che il romanzo comunichi, come
è stato detto, rassegnazione e sottomissione, e che in esso sia rappresentata,
come è stato detto, l’epopea della Provvidenza, rispetto a cui ben poco valgono
le azioni degli uomini.
4)
Faccio notare come sia estremamente significativa quell’aggiunta in appendice che è la Storia
della colonna infame, un’aggiunta – si badi bene – che Manzoni volle come parte integrante del
romanzo. Si tratta, come è noto, della ricostruzione della vicenda
della condanna dei cosiddetti “untori” al tempo della peste. La colonna detta
“infame” era stata eretta sul luogo dove sorgeva il negozio da barbiere di Giacomo
Mora, uno dei presunti untori, a perenne memoria della loro infamia. Ma per Manzoni quella colonna ricorda
piuttosto l’infamia di quei giudici che condannarono degli innocenti. Manzoni
infatti attribuisce non all’ignoranza dei tempi la colpa di quelle aberranti
condanne (come aveva fatto Pietro Verri in un opuscolo Sulla tortura) ma alla viltà di quei giudici che, contro fatti
che erano evidenti anche per loro, vollero trovare un capro espiatorio
condannando degli innocenti. E dunque quell’appendice getta una luce
su tutto il romanzo che appare allora (con tutti i limiti di capacità di
comprensione del popolo che un aristocratico dell’Ottocento, quale Manzoni,
poteva avere) come una denuncia
implacabile della responsabilità degli uomini di potere nel male del mondo.
Il
rapporto fra potenti come “collusione mafiosa”
5)
Ricordo che ai tempi dell’uccisione di
Dalla Chiesa i ragazzi, impegnati in scioperi e manifestazioni, mi chiesero che
cosa faceva la scuola contro la mafia. Poiché stavamo leggendo Manzoni, io
risposi che quel romanzo qualcosa ci insegna nel momento in cui ci mostra
gli uomini di potere che si appoggiano a
vicenda a danno dei semplici cittadini: di che altro di tratta se non di una denuncia di quella che oggi
chiameremmo collusione mafiosa?
6)
Si rilegga l’episodio di fra Cristoforo che si presenta al palazzo di don Rodrigo
per intercedere a favore dei due promessi sposi e si noti come alla stessa
tavola siedano esponenti del potere
economico (Rodrigo e Attilio), del potere politico (il Podestà), del potere
giudiziario (Azzeccagarbugli).
7)
E si rilegga l’episodio dell’incontro e del dialogo fra il conte Zio e il padre
provinciale: episodio straordinario non solo per l’acutezza psicologica con cui i due personaggi sono delineati, ma
anche per la capacità che Manzoni
dimostra di comprendere i meccanismi che regolano il rapporto tra potenti.
Il
conte zio è zio di don Rodrigo e del conte Attilio, ed è un autorevole uomo
politico che risiede a Milano; su richiesta di Attilio incontra il padre
provinciale (è il padre superiore di tutti i cappuccini) per convincerlo a
spostare fra Cristoforo da Pescarenico. E’ un passo lungo, ma è troppo bello
per non essere letto integralmente (cap. XIX):
(…) Tutto ben ponderato, il conte zio invitò un giorno
a pranzo il padre provinciale, e gli fece trovare una corona di commensali
assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche
parente de’ più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e
che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura
signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche
senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l’idea della
superiorità e della potenza; e alcuni clienti legati alla casa per una
dipendenza ereditaria, e al personaggio per una servitù di tutta la vita; i
quali, cominciando dalla minestra a dir di sì, con la bocca, con gli occhi, con
gli orecchi, con tutta la testa, con tutto il corpo, con tutta l’anima,
alle frutte v’avevan ridotto un uomo a non ricordarsi più come
si facesse a dir di no.
A tavola, il conte padrone fece cader ben presto il
discorso sul tema di Madrid. A Roma si va per più strade; a Madrid egli andava per tutte. Parlò della corte, del conte duca,
de’ ministri, della famiglia del governatore; delle cacce del toro, che lui
poteva descriver benissimo, perché le aveva godute da un posto distinto; dell’Escuriale di
cui poteva render conto a un puntino, perché un creato del conte duca l’aveva
condotto per tutti i buchi. Per qualche tempo, tutta la compagnia stette, come
un uditorio, attenta a lui solo, poi si divise in colloqui particolari; e lui
allora continuò a raccontare altre di quelle belle cose, come in confidenza, al
padre provinciale che gli era accanto, e che lo lasciò dire, dire e dire. Ma a
un certo punto, diede una giratina al discorso, lo staccò da Madrid, e di corte in corte, di dignità in dignità, lo
tirò sul cardinal Barberini, ch’era cappuccino, e fratello del papa allora
sedente, Urbano VIII: niente meno. Il conte zio dovette anche lui lasciar
parlare un poco, e stare a sentire, e ricordarsi che finalmente, in questo
mondo, non c’era soltanto i personaggi che facevan per lui. Poco dopo
alzati da tavola, pregò il padre provinciale di passar con lui in un’altra
stanza.
Due
potestà, due canizie, due esperienze consumate si trovavano a fronte. Il
magnifico signore fece sedere il padre molto reverendo, sedette anche lui, e
cominciò: - stante l’amicizia che passa tra di noi, ho creduto di far parola a
vostra paternità d’un affare di comune interesse, da concluder tra di noi,
senz’andar per altre strade, che potrebbero... E perciò, alla buona, col cuore
in mano, le dirò di che si tratta; e in due parole son certo che anderemo d’accordo.
Mi dica: nel loro convento di Pescarenico c’è un padre Cristoforo da
***?
Il provinciale fece cenno di sì.
- Mi dica un poco vostra paternità, schiettamente, da
buon amico... questo soggetto... questo padre... Di persona io non lo conosco;
e sì che de’ padri cappuccini ne conosco
parecchi: uomini d’oro, zelanti, prudenti, umili: sono stato amico dell’ordine
fin da ragazzo... Ma in tutte le famiglie un po’ numerose... c’è sempre
qualche individuo, qualche testa... E questo padre Cristoforo, so da certi
ragguagli che è un uomo... un po’ amico de’ contrasti... che non ha tutta
quella prudenza, tutti que’ riguardi... Scommetterei che ha dovuto dar più
d’una volta da pensare a vostra paternità.
" Ho inteso: è un impegno, - pensava intanto il
provinciale: - colpa mia; lo sapevo che
quel benedetto Cristoforo era un soggetto da farlo girare di pulpito in
pulpito, e non lasciarlo fermare mesi in un luogo, specialmente in conventi
di campagna ".
- Oh! - disse poi: - mi dispiace davvero di sentire
che vostra magnificenza abbia in un tal concetto il padre Cristoforo; mentre,
per quanto ne so io, è un religioso... esemplare in convento, e tenuto in molta
stima anche di fuori.
- Intendo benissimo; vostra paternità deve... Però,
però, da amico sincero, voglio avvertirla d’una cosa che le sarà utile di
sapere; e se anche ne fosse già informata, posso, senza mancare ai miei doveri,
metterle sott’occhio certe conseguenze... possibili: non dico di più. Questo
padre Cristoforo, sappiamo che proteggeva un uomo di quelle parti, un uomo...
vostra paternità n’avrà sentito parlare; quello che, con tanto scandolo,
scappò dalle mani della giustizia, dopo aver fatto, in quella terribile
giornata di san Martino, cose... cose... Lorenzo Tramaglino!
"
Ahi! " pensò il provinciale; e disse: - questa
circostanza mi riesce nuova; ma vostra magnificenza sa bene che una parte del
nostro ufizio è appunto d’andare in cerca de’ traviati, per
ridurli...
- Va bene; ma la protezione de’ traviati d’una certa
specie...! Son cose spinose, affari delicati... - E qui, in vece di gonfiar le
gote e di soffiare, strinse le labbra, e tirò dentro tant’aria quanta ne soleva
mandar fuori, soffiando. E riprese: - ho creduto bene di darle un cenno su
questa circostanza, perché se mai sua eccellenza... Potrebbe esser fatto qualche passo a Roma... non so niente... e da Roma
venirle...
- Son ben tenuto a vostra magnificenza di codesto
avviso; però son certo che, se si prenderanno informazioni su questo proposito,
si troverà che il padre Cristoforo non avrà avuto che fare con l’uomo che lei
dice, se non a fine di mettergli il cervello a partito. Il padre Cristoforo, lo
conosco.
- Già lei sa meglio di me che soggetto fosse al
secolo, le cosette che ha fatte in gioventù.
- È la gloria dell’abito questa, signor conte, che un
uomo, il quale al secolo ha potuto far dir di sé, con questo indosso, diventi
un altro. E da che il padre Cristoforo porta quest’abito...
- Vorrei crederlo: lo dico di cuore: vorrei crederlo;
ma alle volte, come dice il proverbio... l’abito
non fa il monaco.
Il proverbio non veniva in taglio esattamente; ma il
conte l’aveva sostituito in fretta a un altro che gli era venuto sulla punta
della lingua: il lupo cambia il pelo, ma
non il vizio.
- Ho de’ riscontri, - continuava, - ho de’
contrassegni...
- Se lei sa positivamente, - disse il provinciale, -
che questo religioso abbia commesso qualche errore (tutti si può mancare), avrò
per un vero favore l’esserne informato. Son superiore: indegnamente; ma lo sono
appunto per correggere, per rimediare.
- Le dirò: insieme con questa circostanza dispiacevole
della protezione aperta di questo padre per chi le ho detto, c’è un’altra cosa
disgustosa, e che potrebbe... Ma, tra di noi, accomoderemo tutto in una volta.
C’è, dico, che lo stesso padre Cristoforo ha preso a cozzare con mio nipote,
don Rodrigo ***.
- Oh! questo mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace
davvero.
- Mio nipote è giovine, vivo, si sente quello che è,
non è avvezzo a esser provocato...
- Sarà mio dovere di prender buone informazioni d’un
fatto simile. Come ho già detto a vostra magnificenza, e parlo con un signore
che non ha meno giustizia che pratica di mondo, tutti siamo di carne, soggetti
a sbagliare... tanto da una parte, quanto dall’altra: e se il padre Cristoforo
avrà mancato...
- Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo,
da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo... si
fa peggio. Lei sa cosa segue: quest'urti, queste picche, principiano talvolta
da una bagattella, e vanno avanti, vanno avanti... A voler trovarne il fondo, o
non se ne viene a capo, o vengon fuori cent'altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo:
troncare, sopire. Mio nipote è giovine; il religioso, da quel che sento, ha
ancora tutto lo spirito, le... inclinazioni d’un giovine: e tocca a noi, che
abbiamo i nostri anni... pur troppo eh, padre molto reverendo?...
Chi fosse stato lì a vedere, in quel punto, fu come
quando, nel mezzo d’un’opera seria, s’alza, per isbaglio, uno scenario, prima
del tempo, e si vede un cantante che, non pensando, in quel momento, che ci sia
un pubblico al mondo, discorre alla buona con un suo compagno. Il viso,
l’atto, la voce del conte zio, nel dir quel pur troppo!, tutto fu naturale: lì
non c’era politica: era proprio vero che gli dava noia d’avere i suoi anni.
Non già che piangesse i passatempi, il brio, l’avvenenza della gioventù:
frivolezze, sciocchezze, miserie! La cagion del suo dispiacere era
ben più soda e importante: era che sperava un certo posto più alto, quando
fosse vacato; e temeva di non arrivare a tempo. Ottenuto che l’avesse, si
poteva esser certi che non si sarebbe più curato degli anni, non avrebbe
desiderato altro, e sarebbe morto contento, come tutti quelli che desideran molto
una cosa, assicurano di voler fare, quando siano arrivati a ottenerla.
Ma per lasciarlo parlar lui, - tocca a noi, -
continuò, - a aver giudizio per i giovani, e a rassettar le loro malefatte. Per
buona sorte, siamo ancora a tempo; la cosa non ha fatto chiasso; è ancora il
caso d’un buon principiis obsta. Allontanare il fuoco dalla paglia.
Alle volte un soggetto che, in un luogo, non fa bene, o che può esser causa di
qualche inconveniente, riesce a maraviglia in un altro. Vostra
paternità saprà ben trovare la nicchia conveniente a questo religioso. C’è
giusto anche l’altra circostanza, che possa esser caduto in sospetto di chi...
potrebbe desiderare che fosse rimosso: e, collocandolo in qualche posto un
po’ lontanetto, facciamo un viaggio e due servizi; tutto s’accomoda da sé,
o per dir meglio, non c’è nulla di guasto.
Questa conclusione, il padre provinciale se
l’aspettava fino dal principio del discorso. " Eh già! - pensava tra sé: - vedo dove vuoi andar a parare: delle
solite; quando un povero frate è preso a noia da voi altri, o da uno di voi
altri, o vi dà ombra, subito, senza cercar se abbia torto o ragione, il
superiore deve farlo sgomberare ".
E quando il conte ebbe finito, e messo un lungo
soffio, che equivaleva a un punto fermo, - intendo benissimo, - disse il
provinciale, - quel che il signor conte vuol dire; ma prima di fare un passo...
- È un passo e
non è un passo, padre molto reverendo: è una cosa naturale, una cosa
ordinaria; e se non si prende questo ripiego, e subito, prevedo un monte di
disordini, un’iliade di guai. Uno sproposito... mio nipote non crederei...
ci son io, per questo... Ma, al punto a cui la cosa è arrivata, se non la
tronchiamo noi, senza perder tempo, con un colpo netto, non è possibile che si
fermi, che resti segreta... e allora non è più solamente mio nipote... Si stuzzica un vespaio, padre molto
reverendo. Lei vede; siamo una casa, abbiamo attinenze...
-
Cospicue.
- Lei m’intende: tutta gente che ha sangue nelle vene,
e che, a questo mondo... è qualche cosa. C’entra
il puntiglio; diviene un affare comune; e allora... anche chi è amico della
pace... Sarebbe un vero crepacuore per me, di dovere... di trovarmi... io che ho sempre avuta tanta propensione
per i padri cappuccini...! Loro padri, per far del bene, come fanno con
tanta edificazione del pubblico, hanno bisogno di pace, di non aver contese, di
stare in buona armonia con chi... E poi, hanno de’ parenti al secolo... e
questi affaracci di puntiglio, per poco che vadano in lungo,
s’estendono, si ramificano, tiran dentro... mezzo mondo. Io mi trovo
in questa benedetta carica, che m’obbliga a sostenere un certo decoro... Sua
eccellenza... i miei signori colleghi... tutto diviene affar di corpo... tanto
più con quell’altra circostanza... Lei sa come vanno queste cose.
- Veramente, - disse il padre provinciale, - il padre
Cristoforo è predicatore; e avevo già qualche pensiero... Mi si richiede
appunto... Ma in questo momento, in tali
circostanze, potrebbe parere una punizione; e una punizione prima d’aver ben
messo in chiaro...
- No punizione,
no: un provvedimento prudenziale, un ripiego di comune convenienza, per
impedire i sinistri che potrebbero... mi sono spiegato.
- Tra il signor conte e me, la cosa rimane in questi
termini; intendo. Ma, stando il fatto come fu riferito a vostra magnificenza, è
impossibile, mi pare, che nel paese non sia traspirato qualcosa. Per tutto c’è
degli aizzatori, de’ mettimale, o almeno de’ curiosi maligni che, se posson vedere
alle prese signori e religiosi, ci hanno un gusto matto; e fiutano,
interpretano, ciarlano... Ognuno ha il suo decoro da conservare; e io poi, come
superiore (indegno), ho un dovere espresso... L’onor dell’abito... non è cosa
mia... è un deposito del quale... Il suo
signor nipote, giacché è così alterato, come dice vostra magnificenza, potrebbe
prender la cosa come una soddisfazione data a lui, e... non dico vantarsene,
trionfarne, ma...
- Le pare, padre molto reverendo? Mio nipote è un
cavaliere che nel mondo è considerato... secondo il suo grado e il dovere: ma
davanti a me è un ragazzo; e non farà né più né meno di quello che gli
prescriverò io. Le dirò di più: mio nipote non ne saprà nulla. Che bisogno
abbiamo noi di render conto? Son cose
che facciamo tra di noi, da buoni amici; e tra di noi hanno da rimanere.
Non si dia pensiero di ciò. Devo essere avvezzo a non parlare -. E soffiò. - In
quanto ai cicaloni, - riprese, - che vuol che dicano? Un religioso che vada a
predicare in un altro paese, è cosa così ordinaria! E poi, noi che vediamo...
noi che prevediamo... noi che ci tocca... non dobbiamo poi curarci delle
ciarle.
- Però, affine
di prevenirle, sarebbe bene che, in quest’occasione, il suo signor nipote
facesse qualche dimostrazione, desse qualche segno palese d’amicizia, di
riguardo... non per noi, ma per l’abito...
- Sicuro, sicuro; quest’è giusto... Però non c’è
bisogno: so che i cappuccini son sempre accolti come si deve da mio nipote. Lo fa per inclinazione: è un genio in
famiglia: e poi sa di far cosa grata a me. Del resto, in questo caso...
qualcosa di straordinario... è troppo giusto. Lasci fare a me, padre molto
reverendo; che comanderò a mio nipote... Cioè bisognerà insinuargli con
prudenza, affinché non s’avveda di quel che è passato tra di noi. Perché non vorrei alle volte che mettessimo un
impiastro dove non c’è ferita. E per quel che abbiamo concluso, quanto più
presto sarà, meglio. E se si trovasse qualche nicchia un po’ lontana... per
levar proprio ogni occasione...
- Mi vien chiesto per l’appunto un predicatore da
Rimini; e fors’anche, senz’altro motivo, avrei potuto metter gli occhi...
- Molto a proposito, molto a proposito. E quando...?
- Giacché la cosa si deve fare, si farà presto.
- Presto, presto, padre molto reverendo: meglio oggi
che domani. E, - continuava poi, alzandosi da sedere, - se posso qualche cosa,
tanto io, come la mia famiglia, per i nostri buoni padri cappuccini...
- Conosciamo per prova la bontà della casa, - disse il
padre provinciale, alzatosi anche lui, e avviandosi
verso l’uscio, dietro al suo vincitore.
- Abbiamo spento una favilla, - disse questo,
soffermandosi, - una favilla, padre molto reverendo, che poteva destare un
grand’incendio. Tra buoni amici, con due parole s’accomodano di gran cose.
Arrivato all’uscio, lo spalancò, e volle assolutamente
che il padre provinciale andasse avanti: entrarono nell’altra stanza, e si
riunirono al resto della compagnia.
Un grande studio, una grand’arte, di gran parole,
metteva quel signore nel maneggio d’un affare; ma produceva poi anche effetti
corrispondenti. Infatti, col colloquio che abbiam riferito, riuscì a
far andar fra Cristoforo a piedi da Pescarenico a Rimini, che è una
bella passeggiata.