Il
rimpianto di Cacciaguida per Firenze “sobria e pudica”
9)
Il rimpianto per i costumi sobri e
pudìchi delle generazioni precedenti è argomento sviluppato in ben due canti,
XV e XVI, del Paradiso, in occasione dell’incontro con l’avo Cacciaguida, il quale parla così
della Firenze dei suoi tempi; leggo il passo (Pd. XV, 97-129):
Fiorenza
dentro da la cerchia antica,
ond’
ella toglie ancora e terza e nona, (lì
c’era una chiesa che suonava le ore alle 9 e alle 15)
si
stava in pace, sobria e pudica.
Non
avea catenella, non corona,
non
gonne contigiate, non cintura (ricamate, ricche di ornamenti)
che
fosse a veder più che la persona.
Non
faceva, nascendo, ancor paura
la
figlia al padre, ché ’l tempo e la dote
non fuggien
quinci e quindi la misura. (il tempo e
la dote erano fuori di misura, il tempo troppo presto e la dote eccessiva)
Non
avea case di famiglia vòte; (perché troppo grandi? A causa degli esilii?)
non
v’era giunto ancor Sardanapalo (re degli Assiri, simbolo di lussuria)
a mostrar ciò
che ’n camera si puote. (si allude a
pratiche anticoncezionali)
(…………)
Bellincion
Berti vid’ io andar cinto
di cuoio e
d’osso,
e venir da lo specchio (la cintura e la
fibbia)
la
donna sua sanza ’l viso dipinto;
e
vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
esser
contenti a la pelle scoperta, (senza mantelli sopra o fodere di pelliccia)
e
le sue donne al fuso e al pennecchio.
(lo strumento per filare e la quantità di
lana)
Oh
fortunate! ciascuna era certa (non c’erano esilii, le mogli erano certe di
morire in patria)
de la sua
sepultura,
e ancor nulla
era per Francia
nel letto diserta.
(non c’erano mariti mercanti che andavano
in Francia)
L’una
vegghiava a studio de la culla,
e,
consolando, usava l’idïoma
che
prima i padri e le madri trastulla;
l’altra,
traendo a la rocca la chioma, (torcendo col fuso la lana)
favoleggiava
con la sua famiglia
d’i
Troiani, di Fiesole e di Roma.
Saria
tenuta allor tal maraviglia
una
Cianghella, un Lapo Salterello, (donna
scostumata e politico corrotto)
qual or saria Cincinnato e Corniglia.
Laudatio temporis acti: un luogo comune, né di destra né di sinistra
10)
Potremmo dire che questo rimpianto di Dante per i buoni costumi del passato può
essere visto come la riproposizione di un luogo comune che ricorre più volte nella storia della
letteratura e del pensiero: la cosiddetta laudatio temporis acti,
ovvero la lode del tempo passato. Penso ad esempio ad autori della
letteratura latina, quali Sallustio
o Giovenale, che denunciano
la degenerazione dei costumi e della politica della società a loro
contemporanea a confronto con la vita sobria e austera delle generazioni
precedenti.
11)
Certo, nel caso di Dante il rimpianto discende da una visione
della totalità del mondo e della storia, una visione fondata su una concezione religiosa che permea di sé e spiega perfettamente
ogni aspetto del reale; ma questo non fa certo di Dante il fondatore del
pensiero di destra. Allo stesso modo, altrettanto sbagliato, sarebbe il
considerarlo un anticipatore del
pensiero di sinistra, nel senso di anti-capitalista, per via della sua aspra critica al “maladetto
fiore” e ai “sùbiti guadagni”, ovvero alla logica del profitto.
Un
universo pre-rinascimentale: la natura della fortuna
12)
La verità è che il pensiero di Dante,
ripeto, è tutto interno alla cultura e alla mentalità medievale, Siamo
insomma con Dante in un universo
pre-rinascimentale e pre-galileiano. Per far capire questo ai miei
studenti, mostravo ad esempio come Virgilio
nel canto VII dell’Inferno (girone degli avari e prodighi) spiega a Dante la natura della fortuna: la fortuna è
un’intelligenza angelica che governa “li
splendor mondani”, cioè i beni del mondo, e fa sì che essi mutino, al
momento opportuno, “di gente in gente e
d’uno in altro sangue / oltre la difension d’i senni umani”, cioè da un
popolo all’altro, da una famiglia all’altra, al di là di ogni capacità umana di
impedirlo. In altre parole, c’è un senso
in tutto ciò che, di apparentemente fortuito, succede agli uomini, un senso
spesso incomprensibile ed inaccettabile, ma che, visto che gli angeli
attuano la volontà di dio, si inserisce in un disegno finalizzato al bene.
Al contrario la fortuna, da Boccaccio
a Machiavelli, è la casualità assoluta, ciò che resiste alla “virtù”
degli uomini, i quali sono tanto più virtuosi quanto più riescono a superare
gli ostacoli frapposti dalla fortuna; e dunque non c’è un senso, se non maligno, in ciò che si oppone ai disegni
degli uomini.
Nessun commento:
Posta un commento