sabato 28 maggio 2016

Marcuse e la scuola di Francoforte (IV parte)

L’immaginazione secondo la psicanalisi

Ma al significato liberatorio dell’arte si arriva anche attraverso la psicanalisi: in sintesi, la fantasia-immaginazione che produce l’opera artistica è, già per Freud, quella attività psichica che, nel mondo governato dal principio di realtà, si lascia liberamente determinare dal principio del piacere. Così Freud in Precisazioni sui due principi del funzionamento psichico (1911):

Con l’introduzione del principio di realtà un certo tipo di attività del pensiero fu scisso e separato dal resto: esso fu tenuto libero dall’esame della realtà e rimase subordinato al principio del piacere stesso. Questo è l’atto del fantasticare, che comincia già con i giochi infantili e che più tardi, come sogno ad occhi aperti, si stacca dalla sua dipendenza da oggetti reali. (FZP, p. 463)

E dunque la fantasia-immaginazione, con il suo carattere “illogico” e “di sogno”, resta ad indicare, in mezzo al mondo della realtà dolorosa e repressiva, un mondo di soddisfazione e di felicità: quel mondo dove gli istinti di vita troverebbero pace in una realizzazione senza repressione. Con l’opera d’arte, la fantasia-immaginazione prende forma, la forma della bellezza, la forma estetica; e dunque

Dietro la forma estetica sta l’armonia repressa tra sensualità e ragione – l’eterna protesta contro l’organizzazione della vita da parte della logica del dominio, la critica al principio di prestazione (EC, p. 171).

Una parentesi: l’immaginazione secondo Leopardi

Anche qui mi pare che torni, sotto vesti nuove, un’idea ottocentesca, un’idea a cui aveva dato voce Leopardi, quando rivendicava i diritti dell’immaginazione (della favola, del sogno, della poesia) contro l’invadenza della ragione (della conoscenza scientifica e filosofica). Analogamente Leopardi parla del “diletto”, cioè del piacere, che è proprio dell’immaginazione, e quindi della poesia, a fronte del dolore, provocato dalla conoscenza razionale della realtà, provocato (diremmo con Freud) dall’impatto con il principio di realtà. Ma dunque anche per Leopardi l’immaginazione che produce poesia è quella facoltà che, pur nella necessità, per l’individuo adulto, di sottomettersi al principio di realtà, resta vincolata a quel principio del piacere, che aveva il predominio nell’età infantile. Sembra di sentire la voce di Leopardi in queste parole di Marcuse:

La ragione vince: essa diventa spiacevole, ma utile e corretta; la fantasia rimane piacevole, ma diventa inutile, falsa – un puro gioco, un sogno ad occhi aperti. Come tale, essa continua a parlare il linguaggio del principio del piacere, della libertà (dalla repressione), del desiderio e della soddisfazione senza inibizioni, - ma la realtà procede conformemente alle leggi della ragione, non più in dipendenza dal linguaggio del sogno. (EC, p. 170)

L’immaginazione secondo Kant

Del resto, che l’immaginazione artistica abbia a che fare con Eros, con la sensualità, è evidente se si indaga l’origine filosofica dell’ambiguo termine “estetica”. L’origine è in Kant, nel cui pensiero l’immaginazione appare come intermediaria fra sensi ed intelletto, come luogo della conciliazione fra le cosiddette facoltà inferiori e facoltà superiori dell’uomo. Ma i sensi di cui si parla sono intesi nel loro doppio significato, cognitivo (sensorietà) e appetitivo (sensualità); un unico termine in tedesco, Sinnlichkeit, significa contemporaneamente sensorietà e sensualità. L’estetica è dunque originariamente la scienza della sensorietà-sensualità, ed indica un ordine diverso da quello della logica, che è la scienza della comprensione concettuale. Lo stesso sentimento di piacere e dispiacere, che sta alla base del giudizio estetico, tradisce le sue origini nella sensualità, anche se poi si determina come piacere per la forma pura:

La verità dell’arte è la liberazione della sensualità mediante la sua riconciliazione con la ragione: questa è la nozione centrale dell’estetica idealistica classica (EC, p. 203)… L’arte rappresenta una sfida al principio della realtà corrente: rappresentando l’ordine della sensualità, essa invoca una logica non repressa – la logica della soddisfazione contro quella della repressione. Dietro alla forma estetica sublimata si annuncia il contenuto non sublimato: la dipendenza dell’arte dal principio del piacere… Se la perfezione della cognizione sensoriale è definita come bellezza, questa definizione continua a conservare la connessione intima con la soddisfazione istintuale, e il piacere estetico è sempre ancora piacere. Ma l’origine sensuale è repressa, e la soddisfazione sta nella forma pura dell’oggetto. (EC, pp. 204-5)

Ma la “forma pura” non è altro che la forma delle cose nel loro puro essere se stesse, nel loro libero esistere; la forma secondo “finalità senza fine” e “legalità senza legge” (sono espressioni kantiane: Zweckmässigkeit ohne Zweck; Gesetzmässigkeit ohne Gesetz). L’immaginazione artistica dunque costituisce un mondo secondo “finalità formale”, il che vuol dire un mondo al di fuori sia di qualsiasi finalità tecnico-pratica che di qualsiasi legalità scientifica:

L’esperienza nella quale l’oggetto è “dato” in questo modo, differisce completamente tanto dall’esperienza quotidiana che da quella scientifica; tutti i legami tra l’oggetto e il mondo della ragione teorica e pratica sono tagliati, o piuttosto sospesi. Questa esperienza, che rende all’oggetto la sua libera esistenza, è opera dell’immaginazione. (EC, p. 199) 

La contraddizione dell’arte

Per tali ragioni, perché evoca una realtà diversa da quella esistente (secondo un’idea, abbiamo visto, che era anche di Mallarmé e Valéry), la libertà invece della repressione, il piacere invece del dolore, il gioco invece del lavoro faticoso, l’arte sta sullo stesso piano del pensiero negativo: nega la negazione della libertà, denuncia la realtà esistente, esprime il Grande Rifiuto nei confronti di una vita fatta di angoscia, paura, fatica. Questa è la sua natura ed è la sua funzione, ben riconoscibile, secondo Marcuse, nell’arte delle avanguardie novecentesche.
Ma certo, il suo destino è quello di essere una funzione separata, un momento di evasione consentito (anzi, auspicato), un abbellimento di quella stessa realtà che vorrebbe negare:

La libertà dal principio della realtà è concessa al libero gioco dell’immaginazione creativa. Qui viene riconosciuta una realtà con norme molto differenti. Comunque, poiché quest’altra realtà “libera” è attribuita all’arte, e la sua esperienza all’atteggiamento estetico, essa non è impegnativa, non impegna l’esistenza umana sul livello ordinario di vita; essa è “irreale” (EC, p. 205)

Pertanto il destino dell’arte è quello di verificare continuamente il proprio limite contraddittorio, per cui, se da una parte indica un’esistenza libera e piacevole, dall’altra permette, tramite la sua bella forma, la riconciliazione con l’esistenza non libera e spiacevole del mondo reale. Aveva ragione Aristotele quando indicava nell’effetto catartico dell’arte

La duplice funzione dell’arte – di opporre e riconciliare; di accusare e di assolvere; di richiamare il represso e di reprimerlo nuovamente – “purificato”. L’uomo può elevare se stesso con i classici: legge e vede e sente ribellarsi, trionfare, rinunciare o perire i propri archetipi. E poiché tutto ciò ha forma estetica, egli può goderne – e dimenticarlo. (EC, p. 172)

Schiller: l’arte come principio di organizzazione sociale

Ma già Schiller nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (1793-95) pensava alla dimensione estetica non come all’ornamento di un mondo sotto tutti gli altri aspetti repressivo, ma come al luogo per un’esistenza libera e felice, a un principio che governi interamente l’esistenza umana. Era dunque consapevole di risolvere in un problema politico quella che era una funzione separata all’interno della cultura filosofica:

Per risolvere il problema politico nella pratica bisogna prendere la via attraverso il problema estetico, perché alla libertà si giunge solo attraverso la bellezza (ÄEM, II, 207)

Schiller parlava della lotta, nella storia della civiltà, fra due impulsi, quello “sensuale” (o “materiale”, Materietrieb) e quello “razionale” (o “formale”. Formtrieb), una lotta segnata dalla sopraffazione del secondo sul primo. Per opera di un terzo impulso (quello “ludico”, del gioco, Spieltrieb), si può dare una civiltà in cui finalmente il razionale sia sensuale e il sensuale razionale. Dalla vittoria di questo impulso deriva una trasformazione della civiltà, per cui la natura non risulta né dominatrice, né dominata: è “inutilmente”, contemplata nella sua bellezza.

La bellezza… non può essere esclusivamente vita… né può essere esclusivamente forma…: essa è l’oggetto comune di entrambi gli istinti, cioè dell’istinto del gioco… Siccome l’animo nell’intuizione del bello si trova in un felice punto di mezzo fra la legge e il bisogno, appunto perché si divide fra l’una e l’altro, è sottratto alla costrizione di entrambi. (ÄEM, XV, 259-60)
Entrambi gli istinti costringono l’animo, quello con le leggi della natura, questo con le leggi della ragione. L’istinto del gioco… abolirà anche ogni costrizione e porrà l’uomo in libertà tanto fisica che morale. (ÄEM, XIV, 256)
L’istinto del gioco sarebbe diretto ad abolire il tempo nel tempo, ad unire il divenire con l’essere assoluto, il mutamento con l’identità. (ÄEM, XIV, 255)
Con la bellezza l’uomo deve solo giocare, e deve giocare solo con la bellezza. L’uomo gioca solo quando è uomo nel pieno significato della parola, ed è completamente uomo solo quando gioca. (ÄEM, XV, 262)

La natura è, come per Kant, secondo “finalità formale”; è come ce la indicano le immagini orfiche e narcisistiche, come la liberazione degli istinti ci lascia intravedere; è come lo sviluppo tecnologico della società industriale avanzata può consentire; come ci promette il canto delle Sirene, se non avessimo le orecchie tappate con la cera o ci liberassimo dalle corde che ci legano all’albero maestro.

L’utopia come “dimensione estetica”

L’utopia verifica la sua fine come tale: rifiuta di essere relegata nella terra di nessuno e l’arte può essere il principio di organizzazione reale (ed attuale) della civiltà. Nell’articolo Art in One-dimensional Society (1967)[12] Marcuse riprende e chiarisce questo discorso, insieme con la denuncia del suo fraintendimento: non l’arte come abbellimento, come superficie del brutto, come cultura per un mondo di terrore, ma l’arte come architettura di una società veramente libera:

L’arte, la forma dell’immaginazione, potrebbe guidare la costruzione della nuova società. E, in quanto i valori estetici sono i valori non aggressivi per eccellenza, l’arte come tecnologia e tecnica implicherebbe l’apparizione di una razionalità nuova nella costruzione di una società libera, vale a dire, la comparsa di modi e fini nuovi dello stesso progresso tecnico (CSR, p. 142)

Questa società libera sarebbe costruita dalla tecnica, ma da una tecnica

Che è l’opposto della tecnologia e della tecnica che dominano le società repressive odierne, vale a dire, una tecnica liberata dal potere distruttivo che sperimenta uomini e cose, spirito e materia come oggetti bruti della scissione, della combinazione, della trasformazione e del consumo. Invece, l’arte – tecnica – libererebbe le potenzialità della materia, che proteggono e rafforzano la vita. (CSR, p. 144)

L’immaginazione diventerebbe “fattore della tecnica produttiva” (gesellschaftliche Produktivkraft) e questo significherebbe la “negazione-inveramento” (Aufhebung) dell’arte: essa non sarebbe più separata dal reale, ma, come “gaia scienza”, ricostruirebbe radicalmente il mondo dell’esperienza: La dimensione estetica sarebbe il “mondo della vita” (Lebenswelt) in cui potrebbero svilupparsi i nuovi bisogni e le nuove facoltà, i bisogni e le facoltà della libertà. In questo mondo potrà crescere un uomo biologicamente nuovo, un uomo, cioè, che si sia liberato dai falsi bisogni (quelli imposti dalla società dei consumi e, ormai, quasi biologicamente introiettati) e la cui nuova struttura istintuale sappia riconoscere (anzi, non possa più fare a meno di soddisfare) i bisogni di libertà, bellezza, gioco:

Un uomo che dovrebbe parlare una lingua diversa, fare gesti diversi, seguire impulsi diversi; un uomo che avrebbe sviluppato in se stesso una barriera contro la crudeltà, la brutalità, la bruttezza. (EL, p. 34)

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[12] E’ basato su una conferenza tenuta nel marzo del 1967, quindi raccolto nel volume Critica della società repressiva.

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