sabato 28 maggio 2016

Marcuse e la scuola di Francoforte (III parte)

Il dominio sulla natura e sull’uomo, ovvero “ragione strumentale” e “dialettica dell’illuminismo”

Ma  qui c’è anche il nodo che lega il pensiero di Marcuse a quello di Adorno e Horkheimer. La “ragione strumentale” di cui parla Horkheimer non è altro che la ragione usata come strumento per dominare gli uomini e la natura. La “dialettica dell’illuminismo”[11] non è altro che il percorso che parte dall’opposizione fra uomo e natura, dal non riconoscimento che l’uomo stesso è natura, e conduce al dominio sulla natura, e quindi sull’uomo stesso:

La malattia della ragione sta nel fatto che essa è nata dal bisogno umano di dominare la natura… Dal momento in cui la ragione divenne lo strumento del dominio esercitato dall’uomo sulla natura umana ed extra-umana – il che equivale a dire dal momento in cui nacque – essa fu frustrata nell’intenzione di scoprire la verità… Si potrebbe dire che la follia collettiva imperversante oggi, dai campi di concentramento alle manifestazioni apparentemente più innocue della cultura di massa, era già presente in germe nell’oggettivizzazione primitiva, nello sguardo con cui il primo uomo vide il mondo come una preda (ER, p. 151).

Nella storia della civiltà occidentale, mentre l’“illuminismo” e la “ragione strumentale” fondavano il mondo esistente e lo convalidavano come l’unico possibile, l’arte e la filosofia mantenevano in vita il pensiero (l’idea, l’immagine, il sogno) di un mondo diverso (un mondo contemporaneamente bello, buono e giusto).

Il pensiero negativo contro il pensiero positivo, ovvero Platone contro Aristotele

La filosofia di cui si parla è quella che, fondandosi sulla dialettica, trascende la realtà data rivelandone il carattere irrazionale; è il “pensiero negativo” che, a differenza del “pensiero positivo” che convalida la realtà esistente, nega questa realtà in nome di una realtà che non c’è, ma che può essere. Marcuse rintraccia l’origine di questa dicotomia già nel pensiero greco, ovvero nell’opposizione fra la logica dialettica di Platone e la logica formale di Aristotele. La filosofia platonica è il primo esempio di pensiero negativo, perché nega la realtà empirica immediata in nome della realtà delle vere forme, delle Idee: dunque è anche sovversiva – come dimostra il destino di Socrate - perché sottopone a critica tutto ciò che esiste:

Il discorso socratico è in tal senso un discorso politico, in quanto contraddice le istituzioni politiche stabilite. La ricerca della definizione corretta, del “concetto” di virtù, giustizia, pietà e conoscenza diventa un’impresa sovversiva, poiché il concetto propone una nuova polis (OM, p. 149).

La stessa idea esprime Horkheimer:

Socrate morì per aver sottoposto le idee più sacre e più comunemente accettate della sua comunità e del suo paese alla critica del “demone”, o pensiero dialettico, come lo chiamò Platone. Nel far questo, egli si batté contro il conservatorismo ideologico e contro il relativismo mascherato da progressismo… in altre parole si batté contro la ragione soggettiva e formalistica di cui si facevano campioni gli altri sofisti (ER, p. 16-17).

Con Aristotele invece, sotto il segno dell’astrazione formale, della calcolabilità, scompare la tensione dialettica fra essere e dover essere. E quest’ultimo è il modo di pensare che ha trionfato, nella civiltà occidentale, secondo le forme della razionalità scientifica e tecnologica. L’altro modo (quello platonico) è stato emarginato come metafisico, confuso, emotivo, illogico.

La critica della falsa neutralità della scienza e il recupero di Husserl

Ma questa ragione formale, scientifica, neutrale rispetto ai suoi contenuti, si rivela sin dall’inizio come la ragione del potere dominante, la metafisica del dominio. La scienza

Si sviluppa sotto la spinta di un a-priori tecnologico che scorge nella natura null’altro che un strumento potenziale, materiale da controllare e da organizzare. E la percezione della natura come strumento (ipotetico) precede lo sviluppo di ogni particolare organizzazione tecnica. (OM, p. 167).

Dunque, il vero logos della scienza è tecno-logia, per essa la natura è “strumento”, “materia in funzione” senza fine, oggetto per una soggettività. In altre parole, per Marcuse

 la direzione in cui essa (la scienza) è stata generalmente applicata era inerente alla scienza pura, anche là dove non ci si poneva fini pratici (OM, p. 160)

dato che i “fini pratici” erano immanenti alla stessa struttura storico-sociale che si serviva della scienza pura. Ed ecco il punto: la materia è neutrale, ma è un soggetto storico concreto che la manipola:

La materia è neutrale quanto la scienza; l’oggettività non reca un telos in sé e neppure è proiettata verso un telos. Ma è precisamente il suo carattere neutrale che rapporta la oggettività ad uno specifico soggetto storico, cioè alla coscienza che prevale nella società dalla quale e per la quale la neutralità è stabilita (OM, p. 170)

Marcuse trova nello Husserl de La crisi delle scienze europeee e la fenomenologia trascendentale (1936) la conferma di tale carattere “ideologico” del metodo scientifico: il suo non avere base concettuale al di fuori del sistema, e cioè la sua incapacità di trascendere la Lebenswelt (mondo della vita, della realtà empirica), che, quindi, lo determina aprioristicamente.

Ciò che accade nello sviluppo della relazione fra la scienza e la realtà empirica è l’abolizione della trascendenza della ragione. La ragione perde la sua forza filosofica e il suo diritto di definire e progettare idee e modi dell’essere al di là e contro di quelli stabiliti dalla realtà sussistente. (CSR, p. 61)


In tale condizione, il lebensweltliches (appartenente al mondo della vita) che determina apriori il metodo scientifico, è la trasformazione della Lebenswelt empirica (cioè, l’apriori tecnico). Cosicché, il soggetto occulto della scienza galileiana, lungi dall’essere neutrale, è invece il soggetto di una specifica esperienza concreta della Lebenswelt, è inserito all’interno di uno specifico progetto storico e sociale: un progetto di dominio e di controllo sulla natura e sull’uomo.

Adorno-Horkheimer: la veglia della ragione genera mostri

Opere come Eclisse della ragione di Horkheimer e Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer sviluppano in modi simili questa problematica. Così si esprime Horkheimer:

Nell’aspetto formalistico della ragione, sottolineato dal positivismo, è messa in rilievo la sua indipendenza dal contenuto oggettivo; nell’aspetto strumentale, sottolineato dal pragmatismo, è messo in rilievo il suo piegarsi a contenuti eteronomi. La ragione è ormai completamente aggiogata al processo sociale; unico criterio è diventato il valore strumentale, la sua funzione di mezzo per dominare gli uomini e la natura (ER, p. 25)

Analogamente, l’analisi spietata della dialettica dell’Aufklärung, condotta da Adorno e Horkheimer nel loro famoso libro, intende svelare come, nella sua intenzione di fuoriuscire dal mito, l’illuminismo torni a rovesciarsi in mitologia, il progresso si capovolga in regresso, la ragione, separata dai fini, generi la barbarie.
C’è un’acquaforte di Goya, della serie “I capricci”, del 1799, intitolata “El sueño de la razon produce monstruos”, il sogno della ragione genera mostri. Raffigura un personaggio seduto che si è addormentato, appoggiando le braccia e la testa ad una scrivania; attorno a lui volteggiano ombre di pipistrelli dal volto vampiresco. Sono gli incubi del dormiente, e il senso dell’immagine, chiarita dal titolo, è che se la ragione si addormenta, se non vigila, se non rischiara la realtà con la sua luce, i mostri dell’ignoranza e della superstizione prendono il sopravvento. E’ un messaggio coerente con l’ideologia dell’illuminismo, convinto delle capacità liberatorie della ragione. Ma, ci chiediamo noi, cosiccome si chiedono Adorno e Horkheimer, dopo avere assistito alla barbarie del Novecento, dopo Auschwitz, dopo i lager e dopo i gulag, dopo lo sterminio etnico programmato e realizzato scientificamente, dopo le “bombe intelligenti”, è solo il sonno della ragione a generare mostri o non anche una ragione ben sveglia? Una ragione usata in maniera distorta, ma sveglia, non dormiente, ben padrona degli strumenti tecnici e scientifici, e capace però di generare mostri. Ecco spiegata la dialettica dell’illuminismo: il titolo dell’acquaforte di Goya è rovesciato: “la veglia della ragione genera mostri”. E questa parabola, per i pensatori francofortesi, è intrinseca alla ragione scientifica sin dalle sue origini, è propria del pensiero positivo.
 
Il pensiero negativo come ragione totale

Ma il pensiero negativo, cosiccome l’arte, ha mantenuto in vita, opponendosi alla “cattiva immediatezza” del metodo scientifico, l’esigenza di un metodo “mediato” dal progetto di realizzazione delle idee di Bene, Bellezza, Giustizia, Pace. E’ una ragione teoretica che è contemporaneamente etica, estetica e politica. E’ una ragione totale, come lo era nelle sue origini platoniche

La profonda caratteristica del bene si è rifugiata nella natura costitutiva del bello; infatti la misura e la proporzione sembrano essere bellezza e virtù… Se non ci riesce di cogliere il bene assoluto per mezzo di un’unica Idea, cerchiamo di coglierlo con tre idee, ossia bellezza, proporzione e verità..” (Filebo, 64)

una ragione ormai bandita nella società ad una dimensione, liquidata come metafisica e mitologia. Ma quella metafisica e quella mitologia hanno continuato a negare la illibertà, la bruttezza e l’ingiustizia del mondo reale, hanno continuato ad indicare la sfasatura fra reale e razionale, fra essere e dover essere; hanno espresso (e continuano ad esprimere) quello che Marcuse chiama il Grande Rifiuto nei confronti del dominio e dell’oppressione e in vista della possibilità della realizzazione di un mondo libero.

Il pensiero negativo come dialettica

Il pensiero negativo è il pensiero dialettico, ovvero quello che, facendo luce (e leva) sulla contraddizione, guarda il mondo dal punto di vista delle sue potenzialità (o meglio, dal punto di vista della libertà: il pensiero dialettico nega la negazione della libertà), a differenza del pensiero positivo che, guardando il mondo nella sua realtà di fatto, per quel che appare all’esperienza, sul piano politico-sociale finisce per convalidare l’esistente. Nei suoi studi su Hegel (Ragione e rivoluzione, 1941), così come nella Nota sulla dialettica (1960), Marcuse ha chiarito questo aspetto, ovvero il significato intrinsecamente rivoluzionario del pensiero dialettico-negativo, cui si contrappone il significato intrinsecamente conservatore del pensiero positivo:

Il potere del pensiero negativo è l’impulso del pensiero dialettico usato come strumento per analizzare il mondo dei fatti dal punto di vista della loro intrinseca inadeguatezza… Il pensiero dialettico ha inizio con la constatazione che il mondo non è libero; cioè che l’uomo e la natura esistono in condizioni di alienazione, “diversi da ciò che sono”… Mentre il metodo scientifico conduce dall’immediata esperienza delle cose alla loro struttura logico-matematica, il pensiero filosofico conduce dall’immediata esperienza dell’esistenza alla sua struttura storica: il principio della libertà” (RR, p. 7)
Hegel aveva considerato la società e lo Stato come opere storiche dell’uomo e ne aveva dato una interpretazione dal punto di vista della libertà; la filosofia positiva invece studiava la realtà sociale dal punto di vista naturalistico della necessità oggettiva…Comte affermò esplicitamente che il termine ‘positivo’ con il quale egli definiva il suo sistema filosofico, implicava che gli uomini fossero educati ad assumere un atteggiamento positivo verso lo stato di cose prevalente. La filosofia difendeva l’ordine esistente contro coloro che asserivano la necessità di negarlo. (RR, p. 361-63)

Il pensiero negativo come "nostalgia del totalmente altro"

Secondo alcuni, c’è un anelito religioso in questo aspetto del pensiero di Marcuse, un anelito che meglio si riconosce se si guarda il percorso compiuto dal suo amico e direttore della scuola, Horkheimer. C’è un’opera di costui, del 1970, La nostalgia del totalmente altro, che è una sorta di teologia della liberazione. Il “totalmente altro” è quel dio che è necessario ipotizzare per mostrare pienamente la inadeguatezza dell’esistente. A prescindere dall’esistenza di dio, c’è bisogno di una teologia, intesa non come scienza del divino, ma come

la speranza che, nonostante questa ingiustizia che caratterizza il mondo, non possa avvenire che l’ingiustizia abbia l’ultima parola

come

espressione di una nostalgia, secondo la quale l’assassino non possa trionfare sulla sua vittima innocente… nostalgia di perfetta e consumata giustizia.

Nell’opera di Marcuse non ci sono riferimenti espliciti alla religione, ma come negare una qualche vicinanza fra la suddetta “nostalgia del totalmente altro” e il “grande rifiuto” della realtà esistente, la realtà dell’oppressione e dell’ingiustizia, contro cui “il pensiero (negativo) continua a protestare in nome della verità”? (RR, p. 16)

Il pensiero negativo come linguaggio dell’arte

Tornando al nostro discorso, la dialettica e il linguaggio poetico si trovano sullo stesso piano: entrambi negano ciò che è in nome di ciò che non è; evocano l’assente; guardano il mondo da un punto di vista esterno ad esso, ma da cui si vedono le possibilità intrinseche al mondo esistente; entrambi adottano

Il linguaggio della negazione come il Grande Rifiuto di accettare le regole del gioco in cui i dati sono falsati. L’assente deve essere presente in quanto la maggior parte della verità risiede nell’assente (RR., p. 11)

Marcuse cita Mallarmé, che dice

Io dico: un fiore! E dall’oblio nel quale la mia voce esilia ogni forma, in quanto diversa dalle corolle note, sorge musicalmente, idea pura e soave, il fiore che manca ad ogni mazzo. (RR, p. 11)

E Valéry

Il pensiero è il travaglio che fa vivere in noi ciò che non esiste… Che cosa siamo noi senza l’aiuto di ciò che non esiste? (RR, pp. 11-12)

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[11] Meglio sarebbe dire “del rischiaramento”, perché nel termine usato da Adorno e Horkheimer (Aufklärung) non c’è il riferimento al movimento culturale che caratterizza il secondo Settecento

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