Un
universo pre-galileiano: il metodo deduttivo
9)
Ma siamo anche, con Dante, in un universo pre-galileiano, dove
per spiegare la realtà fisica del mondo non
vale il metodo induttivo che parte dai dati di esperienza per
giungere a leggi generali, ma
vale il metodo deduttivo, che parte da principi non dimostrati, da
verità accettate aprioristicamente come tali, per arrivare a dimostrare verità
particolari.
10)
A questo proposito i canti I e II del Paradiso sono esemplari,
non solo perché, come è stato detto, in essi viene rappresentata la
struttura dell’universo rispettivamente dalla terra al cielo (nella tensione
del creato verso Dio) e dal cielo alla terra (nelle influenze che discendono da
Dio e portano vitalità alla terra), ma anche per la logica rigorosamente deduttiva con cui Beatrice,
rispondendo a domande di Dante, spiega
in maniera teologica dei fenomeni fisici quali la legge di gravità e
la natura delle macchie lunari.
La
legge di gravità determinata dal peccato
11)
Dante chiede a Beatrice come sia
possibile che lui, che ha un corpo pesante, possa salire verso il cielo.
La spiegazione di Beatrice parte dalla seguente premessa: tutto il creato è mosso da una tensione verso Dio, ogni elemento,
organico o inorganico, rispetta la volontà divina realizzando se stesso secondo
la propria natura: così fanno le piante e i corpi inanimati, così fanno
gli animali bruti seguendo il proprio istinto e così farebbe l’uomo che, per sua natura, tende verso il cielo più
alto, l’Empireo. Senonchè la
creatura umana, in quanto dotata di intelletto e volontà, ha il libero
arbitrio e quindi il potere “di piegare in altra parte” scegliendo
il peccato. Ma poiché Dante,
avendo attraversato il Purgatorio e bevuto l’acqua del Letè (che fa dimenticare il male fatto) e dell’Eunoè (che fa ricordare le buone azioni compiute), è libero da ogni peccato, non
può che realizzare la sua natura di salire verso il cielo. Dunque la forza di gravità che trattiene a terra i nostri corpi
umani è determinata dai nostri peccati.
Le
macchie lunari spiegate da Beatrice
12)
L’altra questione, quella delle macchie
lunari, è svolta nel II canto del Paradiso, che normalmente a scuola non si
legge, perché troppo dottrinale, troppo difficile. E infatti è difficile,
faticoso, ci sono anche alcuni punti controversi, ma è di grande interesse per il modo deduttivo, appunto, del ragionamento.
Beatrice infatti, dopo avere sorriso sulla credenza
popolare (che vuole le macchie lunari originate da Caino che si aggira per
la luna portando in spalla un fascio di spine), e dopo avere smontato l’opinione di Dante (il
quale, seguendo Averroè, pensa che le
parti scure e le parti chiare della superficie lunare siano da attribuirsi
rispettivamente alla rarità e alla densità del corpo lunare), espone
(seguendo Tommaso) il complesso ragionamento che conduce alla verità.
13)
Sintetizzo al massimo. La premessa è che
c’è una virtù divina che scende dall’alto e che si diversifica nelle diverse stelle e da qui essa si
trasmette nei cieli inferiori; la
diversa luminosità delle stelle deriva dalla diversa “lega” che le diverse
virtù fanno con il prezioso corpo delle stelle; dunque la luminosità diversificata della superficie lunare (in questo
consistono le cosiddette “macchie lunari”) è determinata dal fatto che su
quest’astro confluiscono le diverse virtù che discendono dai cieli più alti.
Il
carattere medievale del poema non ne inficia il valore
14)
In conclusione è questo il modo di Dante
di interpretare la realtà, il suo modo di ragionare rigorosamente deduttivo. Ma
questo suo appartenere pienamente ad un’epoca, il Medioevo, così distante da
noi, nulla toglie al valore del poema “al
quale han posto mano e cielo e terra”
(così nel canto XXV dell’Inferno), un
poema che scavalca i secoli e giunge fino a noi con immutata potenza
comunicativa, a noi che siamo post-galileiani,
che crediamo nel metodo sperimentale
della scienza, che dubitiamo
dell’esistenza dei tre regni dell’oltretomba.
15)
Eppure la potenza comunicativa persiste
perché al di là di tutte le differenze
determinate dal diverso contesto storico, culturale e politico, c’è una
costante, la natura umana, che non varia col variare dei tempi. Le
tante figure di uomini e donne che noi incontriamo collocate in quei tre regni compongono un quadro, grandioso e
totale, della condizione umana. I diversi personaggi
che compaiono nei gironi infernali, nelle cornici del Purgatorio, nei cieli,
segnati dalle diverse vicende che hanno caratterizzato la loro vita terrena, ci parlano di passioni, sofferenze, sentimenti,
aspirazioni, violenze fatte e subite, che appartengono ad ogni tempo; l’amore cui Francesca, seppur dannata, non rinuncia, la passione politica che ancora
tormenta Farinata degli Uberti,
il desiderio di conoscere che
spinge Ulisse a sfidare
l’ignoto, l’odio inestinguibile
del conte Ugolino per chi ha
condotto lui e i suoi figli ad una morte atroce parlano a noi, uomini del
Duemila, così come hanno parlato ai contemporanei di Dante.
L’Inferno
spiegato da Schopenhauer
16)
Ho citato solo personaggi che compaiono
nell’Inferno, ed altri se ne potrebbero citare, protagonisti di dolorose
vicende terrene ed ora sottoposti ad orribili pene infernali; eppure ci sono
personaggi importanti e significativi anche negli altri due regni. Ma quei dannati sono sempre sembrati e
sembrano anche a noi più veri e più vivi e la ragione l’ha spiegata una
volta per tutte Schopenhauer:
Se
si mettessero sotto gli occhi di ciascuno di noi le sofferenze e le torture
atroci a cui ci si trova costantemente esposti, tremeremmo di terrore e di
raccapriccio. E se si conducesse il piú ostinato degli ottimisti attraverso gli
ospedali, i lazzaretti, gli ambulatori chirurgici, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi,
sui campi di battaglia e sui luoghi di esecuzione capitale …. e da ultimo
facendolo entrare nella torre della fame di Ugolino, finirebbe anch'egli con
l'intendere di che razza sia questo meilleur
des mondes possibles. Del resto
da dove ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro
mondo reale? E nondimeno ne ha fatto un inferno in piena regola. Quando
invece si accinse a descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il
nostro mondo non offriva materiale per una impresa siffatta. Perciò non
gli rimase altra opportunità che il riferirci, in luogo delle gioie
paradisiache, gli ammaestramenti, che
nei cieli gli furono impartiti dal suo antenato, dalla sua Beatrice, e dai vari
santi. Da ciò appare abbastanza
chiaro, di quale natura sia questo nostro mondo.
Nessun commento:
Posta un commento