martedì 29 aprile 2025

ASPETTI CONTROVERSI DELLA DIVINA COMMEDIA (VII parte)

 

Un universo pre-galileiano: il metodo deduttivo

9)    Ma siamo anche, con Dante, in un universo pre-galileiano, dove per spiegare la realtà fisica del mondo non vale il metodo induttivo che parte dai dati di esperienza per giungere a leggi generali, ma vale il metodo deduttivo, che parte da principi non dimostrati, da verità accettate aprioristicamente come tali, per arrivare a dimostrare verità particolari.

10)                     A questo proposito i canti I e II del Paradiso sono esemplari, non solo perché, come è stato detto, in essi viene rappresentata la struttura dell’universo rispettivamente dalla terra al cielo (nella tensione del creato verso Dio) e dal cielo alla terra (nelle influenze che discendono da Dio e portano vitalità alla terra), ma anche per la logica rigorosamente deduttiva con cui Beatrice, rispondendo a domande di Dante, spiega in maniera teologica dei fenomeni fisici quali la legge di gravità e la natura delle macchie lunari.

La legge di gravità determinata dal peccato

11)                      Dante chiede a Beatrice come sia possibile che lui, che ha un corpo pesante, possa salire verso il cielo. La spiegazione di Beatrice parte dalla seguente premessa: tutto il creato è mosso da una tensione verso Dio, ogni elemento, organico o inorganico, rispetta la volontà divina realizzando se stesso secondo la propria natura: così fanno le piante e i corpi inanimati, così fanno gli animali bruti seguendo il proprio istinto e così farebbe l’uomo che, per sua natura, tende verso il cielo più alto, l’Empireo. Senonchè la creatura umana, in quanto dotata di intelletto e volontà, ha il libero arbitrio e quindi il potere di piegare in altra partescegliendo il peccato. Ma poiché Dante, avendo attraversato il Purgatorio e bevuto l’acqua del Letè (che fa dimenticare il male fatto) e dell’Eunoè (che fa ricordare le buone azioni compiute), è libero da ogni peccato, non può che realizzare la sua natura di salire verso il cielo. Dunque la forza di gravità che trattiene a terra i nostri corpi umani è determinata dai nostri peccati.

Le macchie lunari spiegate da Beatrice

12)                      L’altra questione, quella delle macchie lunari, è svolta nel II canto del Paradiso, che normalmente a scuola non si legge, perché troppo dottrinale, troppo difficile. E infatti è difficile, faticoso, ci sono anche alcuni punti controversi, ma è di grande interesse per il modo deduttivo, appunto, del ragionamento. Beatrice infatti, dopo avere sorriso sulla credenza popolare (che vuole le macchie lunari originate da Caino che si aggira per la luna portando in spalla un fascio di spine), e dopo avere smontato l’opinione di Dante (il quale, seguendo Averroè, pensa che le parti scure e le parti chiare della superficie lunare siano da attribuirsi rispettivamente alla rarità e alla densità del corpo lunare), espone (seguendo Tommaso) il complesso ragionamento che conduce alla verità.

13)                      Sintetizzo al massimo. La premessa è che c’è una virtù divina che scende dall’alto e che si diversifica nelle diverse stelle e da qui essa si trasmette nei cieli inferiori; la diversa luminosità delle stelle deriva dalla diversa “lega” che le diverse virtù fanno con il prezioso corpo delle stelle; dunque la luminosità diversificata della superficie lunare (in questo consistono le cosiddette “macchie lunari”) è determinata dal fatto che su quest’astro confluiscono le diverse virtù che discendono dai cieli più alti.

Il carattere medievale del poema non ne inficia il valore

14)                      In conclusione è questo il modo di Dante di interpretare la realtà, il suo modo di ragionare rigorosamente deduttivo. Ma questo suo appartenere pienamente ad un’epoca, il Medioevo, così distante da noi, nulla toglie al valore del poema “al quale han posto mano e cielo e terra” (così nel canto XXV dell’Inferno), un poema che scavalca i secoli e giunge fino a noi con immutata potenza comunicativa, a noi che siamo post-galileiani, che crediamo nel metodo sperimentale della scienza, che dubitiamo dell’esistenza dei tre regni dell’oltretomba.

15)                      Eppure la potenza comunicativa persiste perché al di là di tutte le differenze determinate dal diverso contesto storico, culturale e politico, c’è una costante, la natura umana, che non varia col variare dei tempi. Le tante figure di uomini e donne che noi incontriamo collocate in quei tre regni compongono un quadro, grandioso e totale, della condizione umana. I diversi personaggi che compaiono nei gironi infernali, nelle cornici del Purgatorio, nei cieli, segnati dalle diverse vicende che hanno caratterizzato la loro vita terrena, ci parlano di passioni, sofferenze, sentimenti, aspirazioni, violenze fatte e subite, che appartengono ad ogni tempo; l’amore cui Francesca, seppur dannata, non rinuncia, la passione politica che ancora tormenta Farinata degli Uberti, il desiderio di conoscere che spinge Ulisse a sfidare l’ignoto, l’odio inestinguibile del conte Ugolino per chi ha condotto lui e i suoi figli ad una morte atroce parlano a noi, uomini del Duemila, così come hanno parlato ai contemporanei di Dante.

L’Inferno spiegato da Schopenhauer

16)                      Ho citato solo personaggi che compaiono nell’Inferno, ed altri se ne potrebbero citare, protagonisti di dolorose vicende terrene ed ora sottoposti ad orribili pene infernali; eppure ci sono personaggi importanti e significativi anche negli altri due regni. Ma quei dannati sono sempre sembrati e sembrano anche a noi più veri e più vivi e la ragione l’ha spiegata una volta per tutte Schopenhauer:

Se si mettessero sotto gli occhi di ciascuno di noi le sofferenze e le torture atroci a cui ci si trova costantemente esposti, tremeremmo di terrore e di raccapriccio. E se si conducesse il piú ostinato degli ottimisti attraverso gli ospedali, i lazzaretti, gli ambulatori chirurgici, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, sui campi di battaglia e sui luoghi di esecuzione capitale …. e da ultimo facendolo entrare nella torre della fame di Ugolino, finirebbe anch'egli con l'intendere di che razza sia questo meilleur des mondes possibles. Del resto da dove ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro mondo reale? E nondimeno ne ha fatto un inferno in piena regola. Quando invece si accinse a descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il nostro mondo non offriva materiale per una impresa siffatta. Perciò non gli rimase altra opportunità che il riferirci, in luogo delle gioie paradisiache, gli ammaestramenti, che nei cieli gli furono impartiti dal suo antenato, dalla sua Beatrice, e dai vari santi. Da ciò appare abbastanza chiaro, di quale natura sia questo nostro mondo.

 

 

 

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