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lunedì 11 gennaio 2016

La problematica successione ad Augusto, da Tiberio a Nerone

La dinastia Giulio-Claudia e il problema del principato
  
Se è vero che il principato nasce come esigenza di adeguare la forma del potere alla realtà di uno Stato che ormai non è più limitato a Roma e all’Italia, ma comprende un territorio molto ampio e le province più diverse, ecco spiegato perché già Augusto, pur nel rispetto formale delle libertà repubblicane, aveva consentito che si formasse un alone di sacralità attorno alla sua persona: dallo stesso titolo di Augustus, al culto del padre defunto (divus Iulius) e del Genius del principe. Solo una simile figura può porsi al di sopra delle parti, essere garanzia di unità dell’impero, punto di riferimento per tutti (laddove il vecchio senato repubblicano rappresentava gli interessi ristretti dell’aristocrazia romana, o al massimo italica).
Insomma, il potere del princeps dev’essere sostanziale, e non paravento del potere del senato. Quindi lo scontro col senato diventa inevitabile: ecco perchè la cultura di ispirazione senatoria (Tacito e Svetonio per tutti) si accanisce tanto con gli imperatori della dinastia giulio-claudia, presentandoli come ipocriti (Tiberio), deficienti (Claudio), pazzi (Caligola), sanguinari (Nerone). In realtà si tratta del fatto che costoro intendono affermare il potere del princeps: Tiberio (14-37) non vorrebbe, ma è costretto dalla storia (si riaprirebbe altrimenti lo scontro fra le diverse classi, fra le diverse ambizioni, fra i diversi interessi delle diverse parti dell’impero); nel caso di Caligola (37-41), accentuando il carattere sacro della sua figura (desunto dalla concezione orientale della monarchia) ed assumendone i relativi riti (προσκύνησιϛ, o prostrazione, bacio del piede, ἱερὸς γάμος, o matrimonio sacro, con la sorella Drusilla; e nominare senatore il proprio cavallo voleva dire, nel compiere un atto provocatorio contro il senato, marcare la fine dell’età repubblicana); nel caso di Claudio (41-54), attraverso l’utilizzazione dei liberti (che rispondono solo a lui) per l’amministrazione; nel caso di Nerone (54-69) (almeno per quanto riguarda il secondo tempo del suo governo, a cominciare dal 58), riprendendo la concezione orientaleggiante di Caligola ed adottando una politica finanziaria che favorisce le province (elimina i dazi per le merci importate, favorendo un abbassamento del costo della vita - ma nel contempo sacrificando la produzione italica, che non resiste alla concorrenza) e i ceti meno abbienti (riduce di 1/12 il peso del denarius d’argento, mantenendone lo stesso valore, ed obbliga i detentori di capitale ad accettare il pagamento dei debiti in tali pezzi, di valore intrinseco ridotto).
Quanto mai problematica la successione ad Augusto, e quanto mai intricate (per incroci di parentela) le vicende di successione della dinastia giulio-claudia.
Tiberio era stato adottato da Augusto, dopo che questi, privo di figli maschi, aveva dovuto rinunciare ad una serie di successori designati (era morto Marcello, figlio della sorella Ottavia[1]; erano morti Gaio e Lucio, figli della propria figlia Giulia[2] e di Agrippa, da sempre suo grande collaboratore, politico e militare), e quindi ripiegare su una successione “claudia” (Tiberio e Druso gli erano figliastri, in quanto figli della sua terza moglie, Livia, e del di lei primo marito, Tiberio Claudio Nerone); morto Druso (nel 9, mentre conduceva trionfalmente le campagne in Germania), non restava che Tiberio, cui però Augusto impose di adottare a sua volta Germanico, figlio di Druso.
Il dramma di Tiberio (all’origine dei suoi tentennamenti, sinceri, e non ipocriti come li giudicherà Tacito) consisté nel fatto che da una parte sentiva, lui, discendente della nobilissima gens Claudia, di appartenere alla classe senatoria (e quindi, di doverne difendere la libertas), dall’altra, se voleva essere princeps (come lo stato delle cose richiedeva), doveva per forza conculcare quella libertas. Voleva considerare il principato come una magistratura straordinaria, e non come il punto di arrivo di un secolo di lotte, dai Gracchi al secondo Triumvirato. Rinunciò ad ogni onore divino, ai titoli di Imperator e di pater patriae; fu incerto se accettare di essere chiamato Augustus. Ma tutto ciò non faceva che togliere prestigio e carisma alla sua funzione; per cui poi, per riaffermarla, dovette ricorrere a misure repressive: così si spiega il rafforzamento delle coorti pretorie e l’affidamento di grande potere al prefetto Elio Seiano (Tiberio lo lasciò addirittura arbitro di Roma, ritirandosi a Capri nel 26; e Seiano imperversò, con condanne per lesa maestà, finché lo stesso Tiberio lo fece condannare a morte nel 30).
Intanto Germanico era morto in circostanze poco chiare (era figlio, oltre che di Druso, di Antonia minore, figlia del Triumviro; e, come il nonno, aveva già dato segni di predilezione per una concezione orientaleggiante della monarchia): mandato in Asia, dopo i trionfi in Germania, era stato avvelenato, si disse, per incarico dell’invidioso Tiberio. Morì anche Druso minore, figlio di Tiberio (Seiano gli fece propinare del veleno). Come eredi non restavano che Gaio (figlio di Germanico, quindi nipote di Druso e bis-nipote di M. Antonio per parte di madre) e Tiberio Gemello (figlio di Druso minore, e quindi nipote dell’imperatore). Quest’ultimo però era troppo giovane, e quando Tiberio morì gli successe Gaio, detto Caligola o “sandaletto” (così lo chiamavano affettuosamente i soldati che l’avevano visto bambino nell’accampamento al seguito del padre, il leggendario Germanico): subito fece mettere a morte il concorrente, Tiberio Gemello.
Caligola, in quanto figlio di Germanico, al pari di Claudio (di Germanico era fratello, e quindi era zio di Caligola) che gli succederà, hanno “nel sangue” la predisposizione di Antonio alla monarchia di tipo orientale. Stessa cosa può dirsi di Nerone, sia da parte di padre (Cn. Domizio, figlio di Antonia maggiore), sia da parte di madre (Agrippina minore, nipote di Antonia minore, in quanto figlia di Germanico, quindi sorella di Caligola e nipote di Claudio[3]).
Il Triumviro sconfitto in vita si prendeva una rivincita postuma, attraverso la sua discendenza.


 


[1]L’aveva avuto dal primo marito, Caio Marcello, poi era andata sposa a Marco Antonio, da cui ebbe due figlie, Antonia maggiore (che sarà madre di Cn. Domizio, padre di Nerone) e Antonia minore (che sarà moglie di Druso, e quindi madre di Germanico e di Claudio).
 
[2]Giulia, figlia di Scribonia (seconda moglie di Augusto, da lui ripudiata subito dopo il parto; la prima era stata Clodia, figlia del famoso Clodio, e la terza sarà Livia), era stata sposata, prima al cugino Marcello, poi ad Agrippa; quindi, morto anche costui, andrà sposa a Tiberio (ma il padre, per la sregolatezza dei suoi costumi, la relegherà nell’isola di Pandataria, e poi a Reggio, dove morirà).
 
[3]Di quest’ultimo, per altro, Agrippina fu l’ultima di quattro mogli; ed a lui - zio e marito - impose l’adozione del proprio figlio Nerone.

venerdì 29 maggio 2015

Augusto e la cultura


Augusto e la cultura


Augusto, vinto Antonio, si presenta come il difensore dell’Italia e delle sue tradizioni, in contrapposizione alla minaccia dell’Oriente (di quei costumi molli e corrotti dal troppo lusso); e quindi intende recuperare il mos maiorum  (vedi le leggi contro il celibato e l’adulterio) e la religione tradizionale (vedi la restaurazione di antichi culti e riti). Ma, più specificamente, intende rilanciare la piccola agricoltura, ritenuta la base della sanità italica (il “coltivatore diretto” Cincinnato è la personificazione del mos maiorum ).

Le grandi ricchezze accumulate a seguito dell’espansione imperialistica erano state, in parte, investite nell’agricoltura, e precisamente nelle colture pregiate (che richiedono non solo grossi capitali per l’acquisto di terreni, strumenti e schiavi, ma anche l’immobilizzazione di detti capitali, e cioè la capacità di attendere la remunerazione per un tempo relativamente lungo): vite e olivo, allevamento. Ciò aveva comportato l’espulsione dei piccoli proprietari, l’eliminazione della piccola azienda a conduzione famigliare, incapace di reggere la concorrenza di chi produce disponendo di grande quantità di manodopera servile. Il conseguente prevalere del latifondo (e quindi della coltura estensiva a scapito di quella intensiva) aveva comportato, alla lunga, la necessità di importazioni alimentari (vino dalla Gallia, olio dall’Africa), ovvero la passività della bilancia commerciale italiana; sul piano sociale, la riduzione del piccolo proprietario a bracciante agricolo o proletario urbano. Le Bucoliche  virgiliane risentono di questa condizione di precarietà in cui si trova il piccolo proprietario; le Georgiche invece corrispondono al programma augusteo di rilancio della piccola proprietà.

Per quanto riguarda la letteratura, Augusto ne capisce l’importanza propagandistica: in particolare, si tratta di superare il neoterismo (poesia come lusus, rivolta ad un pubblico ristretto), senza per questo rinunciare alle conquiste di raffinatezza stilistica. Ciò che si vuole, è una letteratura impegnata, moralmente e civilmente: in concreto, Augusto auspica la rinascita del teatro (vedi Epistole II, 1, in cui Orazio obietta alle direttive culturali del princeps ) e del poema epico (l’Eneide ).

 Lui stesso si dilettò di letteratura, ma la sua autobiografia (De vita sua) e la raccolta delle Epistulae  sono andate perdute: ci resta il Monumentum Ancyranum  (o Res gestae Divi Augusti), una iscrizione, su due tavole di bronzo, ritrovata ad Ankara (ma dovevano essercene altre in altri luoghi dell’impero) che, in uno stile semplice e lapidario, riassumeva e propagandava il senso della sua opera politica.

Ma un vero e proprio ministro della cultura fu Mecenate (70-9 a. C.), dell’ordine equestre, lui stesso dilettante di poesia, ma famoso, piuttosto, per l’opera di organizzazione culturale (riunì nel suo “circolo” Virgilio, Orazio, Properzio) e di mediazione fra le predilezioni individuali degli autori e la funzione civile cui il regime chiamava la letteratura.

Una funzione di opposizione hanno invece i circoli di Asinio Pollione (cesariano, si era ritirato dalla politica attiva; fondò la prima biblioteca pubblica ed introdusse l’uso delle recitationes di opere poetiche in pubblico; Virgilio gli dedicò l’ecloga IV) e di Messalla Corvino (aveva combattuto ad Azio con Ottaviano, poi si era ritirato dalla politica, vedendo perdersi gli ideali repubblicani; protesse poeti, fra cui Tibullo, in nome di una poesia disimpegnata, di ispirazione arcadica).

 

Politica estera ed interna di Augusto


Politica estera ed interna di Augusto


Parta victoriis pax ” è la formula ambigua dell’imperialismo augusteo. Si tratta, fondamentalmente, di assestare i confini all’Eufrate e all’Elba.

A Oriente, dai Parti (con effetti propagandistici, più che di sostanza), attraverso trattative diplomatiche, si ottiene la restituzione delle insegne di Crasso e Antonio (che avevano tentato delle spedizioni ed erano stati sconfitti).

A Occidente, Augusto intende stabilire il confine lungo la linea ideale Elba-Danubio. Saranno i figliastri Druso e Tiberio (figli della seconda moglie, Livia, e del di lei primo marito, Tiberio Claudio Nerone) ad operare in Germania; e Druso, poco prima di morire (9 a. C.), raggiungerà l’Elba. Ma dopo la disfatta di Teutoburgo (nel 9 d. C. furono distrutte tre legioni - 15.000 uomini - comandate da Varo) sarà giocoforza retrocedere sul Reno (enorme la portata storica: la Germania non sarà più romanizzata).

All’interno, si punta sulla rivalutazione del mos maiorum : la sanità italica viene contrapposta alla mollezza orientale (vengono emanate leggi contro le spese di lusso, contro il celibato, ecc.); sul piano economico, viene rilanciata l’agricoltura italica.

Sul piano politico, la grande impalcatura si regge sull’esercito e sull’amministrazione dello Stato: il che vuol dire, sul consenso sia delle classi inferiori (dopo la leva ventennale nell’esercito - normalmente si tratta di volontariato, eccezionalmente di coscrizione obbligatoria - i veterani erano compensati con denaro ed appezzamenti di terra) che di quelle superiori: per i senatori c’è il cursus honorum, che culmina col governatorato delle province; per i cavalieri ci sono incarichi amministrativi ed esattoriali, che culminano con le quattro prefetture (d’Egitto, del pretorio, della flotta e dell’annona).

Da Ottaviano ad Augusto


Formazione giuridica del potere di Ottaviano

 
L’ 1 gennaio del 32 scadevano i poteri dittatoriali di Triumviro (magistratura straordinaria, quella dei triumviri rei publicae constituendae, frutto di un accordo raggiunto nel 43 con Lepido ed Antonio: a quest’ultimo venivano assegnate le province orientali, ad Ottaviano le occidentali e l’Italia, a Lepido l’Africa), ma Ottaviano se li fa prorogare facendosi tributare un “giuramento di fedeltà” dall’Italia e dalle province (coniuratio Italiae et provinciarum). Antonio, che, a fianco di Cleopatra, si è “ellenizzato” (accetta per sé l’attributo divino di Osiride, o Dioniso, per la consorte quello di Iside, o Afrodite; si comporta come un sovrano orientale), viene dichiarato hostis publicus .

Il 2 settembre del 31, a seguito della vittoria navale di Azio su Antonio e Cleopatra, Ottaviano non ha più rivali (Lepido, ridotto al rango di pontifex maximus, è già stato liquidato).

Nella seduta senatoria del 13 gennaio del 27, rinuncia ai poteri straordinari di triumviro, ma mantiene, o acquisisce, una serie di prerogative: resta console e tribuno; gli viene attribuito il titolo di Augustus (giuridicamente non comporta niente di definibile, ma conferisce un alone di sacralità; l’etimo è augère, ed anche se la potestas è pari a quella degli altri magistrati, l’auctoritas è superiore); si fa assegnare l’imperium proconsulare di Spagna, Gallia, Siria (sono le province non pacatae, nelle quali è stanziato l’esercito, e quindi comportano imperium militare; le altre, quelle pacatae, sono governate da proconsoli senatori); conserva (dal 30) l’Egitto come possesso personale (viene governato attraverso un praefectus di rango equestre); mentre i tributi delle province senatorie vanno all’erario (cassa dello Stato), quelli delle imperiali vanno al fisco (patrimonio privato di Augusto).

L’ 1 luglio del 23 rinuncia al consolato, ma resta tribuno a vita (con relativa potestas tribunicia : inviolabilità della persona, diritto di veto); è (già dal 28) princeps senatus (ha cioè il diritto di votare per primo), ha lo ius primae relationis (precedenza nel presentare proposte in senato) e lo ius agendi cum senatu (diritto di convocazione); il suo imperium proconsulare  viene riconosciuto maius et infinitum (quindi superiore a quello dei proconsoli delle province senatorie).

Nel 13, morto Lepido, diviene pontifex maximus, e quindi massima autorità religiosa.

Infine, con la costituzione delle cohortes praetoriae (nove, comandate da un prefetto di rango equestre, di stanza a Roma e dintorni, con funzioni di guardia del corpo), si crea un diretto appoggio militare.