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martedì 18 novembre 2025

AMORE E MORTE: DA FREUD A LUCREZIO (IV parte)

 

Anche per Lucrezio si guarisce grazie alla naturae species ratioque

1)    Questo insistere sulla necessità della ricerca scientifica per liberare l’uomo dall’illusione religiosa, per guarirlo da quella nevrosi collettiva, non può non ricordare Lucrezio, il quale naturalmente non parla di nevrosi, ma ugualmente ritiene che la mente dell’uomo, ottenebrata e spaventata dalle credenze religiose, possa e debba essere liberata tramite la conoscenza scientifica. In latino l’espressione, usata più volte, è naturae species ratioque; è un’endiadi (en – dià – dioin, uno attraverso due, un concetto attraverso due parole) dove species – che ha la stessa radice di spectare, guardare, speculare, studiare – significa appunto “osservazione”, “studio” e ratio significa “ragione”, “razionalità”; dunque l’espressione naturae species ratioque si può tradurre come “osservazione razionale, o studio scientifico, della natura”.

2)    E’ lo stesso maestro, Epicuro, che ha insegnato che questa è la strada, lui che, “mentre la vita umana giaceva oppressa dal grave peso della religione, che incombeva dall’alto del cielo col suo orribile aspetto”, “per primo osò sollevare gli occhi contro la religione” (primum Graius homo mortalis tollere contra / est oculos ausus) e non lo spaventarono “la fama degli dei, né i fulmini, né il minaccioso brontolio del cielo” (neque fama deum, nec fulmina, nec minitanti / murmure compressit caelum) (I, vv. 62-69).

Noi come fanciulli, per Lucrezio come per Freud

3)    E infatti noi, scrive Lucrezio, siamo come fanciulli che al buio hanno paura immaginando minacce che non esistono; come loro noi, pur essendo alla luce, “temiamo cose che non sono più paurose di quelle che spaventano i fanciulli al buio” (III, vv. 97-90). Un paragone, questo, fra le paure dei fanciulli e quelle degli adulti, che non può non ricordare l’idea di Freud secondo cui con la religione si rinnova negli adulti il rapporto nevrotico avuto con il padre da fanciulli. E come Freud indicava nel “rafforzamento dello spirito scientifico” la terapia in grado di liberare dalla suddetta nevrosi, così scrive Lucrezio:

 

hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest

non radii solis nec lucida tela diei

discutiant, sed naturae species ratioque. (III, vv. 91-93)

 

“Questo terrore dell’animo, dunque, e queste tenebre occorre che siano dissipate non dai raggi del sole né dai lucenti dardi del giorno, ma dallo studio scientifico della natura

Empietà della religione: il sacrificio di Ifigenia e degli animali

4)    Per Lucrezio la religione è prima di tutto empia, in quanto in suo nome si compiono sacrifici umani; e qui, in un bellissimo passo, il poeta rievoca il sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone, che venne immolata sull’altare perché gli dei favorissero il viaggio della flotta, che partiva alla volta di Troia; durissimo il verso con cui si conclude la narrazione della vicenda: Tantum religio potuit suadere malorum, a tanto male potè indurre la religione (I, vv. 84-101).

5)    Ma orribili sono anche i sacrifici degli animali, per i quali Lucrezio dimostra una sensibilità più unica che rara nella poesia dell’antichità: è indimenticabile il passo in cui è rappresentato il dolore inconsolabile della madre che cerca invano il vitello sgozzato davanti all’altare, “con lo sguardo cercando ovunque (omnia convisens oculis loca), se possa in un luogo scorgere il figlio perduto (si queat usquam conspicere amissum fetum), si ferma e riempie di tristi muggiti il bosco frondoso (completque querellis frondiferum nemus adsistens), e spesso ritorna alla stalla, trafitta dal desiderio del suo giovenco (et crebra revisit ad stabulum desiderio perfixa iuvenci)” (II, vv. 355-360).

Gli dei non si interessano di noi, non c’è provvidenza

6)    Ma c’è un argomento fondamentale per sostenere il carattere illusorio, fallace, della religione. Gli dei, dice Lucrezio, abitano negli spazi tra i mondi, nei cosiddetti intermundia, e vivono in condizioni di perfetta atarassia, ovvero di imperturbabilità, dunque non possono essere turbati dalle vicende umane, di cui non si interessano in alcun modo; il che equivale a dire che, per noi uomini, è come se non esistessero.

7)    Da questo consegue che non c’è una punizione divina per gli uomini, in questa o in un’altra vita, ma nemmeno c’è per il mondo umano una provvidenza benevola (quella prònoia in cui credevano invece gli stoici). Scrive Lucrezio: “Quand’anche ignorassi quali sono gli elementi costitutivi delle cose, per gli stessi fenomeni del cielo e in base a molti altri fatti oserei affermare che non c’è stato un intervento divino che ha creato a nostro vantaggio la natura del mondo: tanto grande è l’imperfezione che gli è connaturata” (tanta stat praedita culpa, letteralmente, fornita com’è la natura di così grande colpa) (II, vv. 177-181; V, vv. 195-199).

La natura matrigna e il lugubre vagito

8)    Segue un elenco dei mali del mondo che ci fanno pensare alla concezione leopardiana della natura matrigna, tanto che, conclude Lucrezio,  come un naufrago sbattuto sulla spiaggia dalle onde del mare, un bambino che nasce “giace nudo a terra, incapace di parlare, bisognoso di ogni aiuto per sopravvivere, e riempie il luogo di un lugubre vagito, come si addice a chi nella vita dovrà passare per tanti malanni (ut aecumst / cui tantum in vita restet transire malorum)” (V, vv. 222-227). Un lugubre vagito: notate l’ossimoro fra il vagito che è proprio del neonato e dunque richiama la nascita, e l’aggettivo lugubre, che invece è funereo e richiama la morte.

Eros: il sesso come bisogno e il piacere “in quiete”

9)    Veniamo ora alla questione del rapporto fra Eros (la pulsione sessuale, ovvero la pulsione di vita) e Thanatos (la pulsione aggressiva e distruttiva, ovvero la pulsione di morte).

10)      Quello che Lucrezio pensa dell’amore e della pulsione sessuale è coerente con la dottrina epicurea: la sessualità è una necessità, in quanto ha a che fare con la riproduzione della vita, ed è anche un bisogno naturale che va soddisfatto, come il mangiare, il bere, il dormire. Ciò che va assolutamente evitato è il coinvolgimento passionale, noi diremmo l’innamoramento, in quanto fonte di grande turbamento, di dolore e di angoscia. Per l’etica epicurea infatti ciò che ci si deve proporre è il piacere (hedoné in greco, voluptas in latino), ma il piacere di cui si parla è il cosiddetto piacere “catastematico”, ovvero statico, “in quiete”, definito come assenza del dolore (aponia) e mancanza di turbamento (atarassia)[1]; è un piacere che si distingue dal cosiddetto piacere “cinetico”, ovvero dinamico, che è il piacere dei dissoluti e di chi insegue onori e ricchezze, un piacere che genera inquietudine, turbamento, sofferenza. E tale è anche il piacere generato dall’amore passionale.

11)      Evito di riportare i versi in cui, in maniera crudamente realistica, è descritta la fisiologia dell’atto sessuale, sempre insistendo sulla necessità di soddisfare un bisogno e di evitare il coinvolgimento passionale. Per cui ecco la conclusione: “Non perde i frutti di Venere chi evita l’amore (nel senso dell’innamoramento), ma piuttosto coglie i piaceri che sono senza pena. Di certo il piacere per gli uomini assennati è più puro di quello degli infelici amanti” (IV, vv. 1073-1076).

Thanatos: non pulsione di morte, ma pensiero angosciante

12)       Quanto a Thanatos, la morte, è un motivo fondamentale nel poema di Lucrezio, ma non nel senso di una pulsione di morte come abbiamo visto in Freud, bensì nel senso di un pensiero angosciante, fonte di grande turbamento, in definitiva, madre di tutte le paure. E’ un’angoscia da cui ci si può e ci si deve liberare tramite la conoscenza scientifica della natura (la naturae species ratioque).



[1] E’ una concezione che ricorda il pensiero di Freud quando identifica il principio del piacere con il cosiddetto principio del Nirvana, che consiste nella tendenza a ridurre o eliminare ogni tensione prodotta da stimoli, interni o esterni (analogamente a ciò che il Nirvana indica nel buddismo, ovvero la cessazione del dolore in conseguenza dell’annullamento del desiderio).

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