martedì 29 aprile 2025

ASPETTI CONTROVERSI DELLA DIVINA COMMEDIA (III parte)

 Il disastro politico e morale dell’Italia

9)    Quanto al disastro politico e morale dell’Italia, la risposta la dà Dante stesso nel canto VI del Purgatorio quando, avendo assistito all’abbraccio affettuoso, nell’aldilà, fra le anime di due concittadini, Sordello e Virgilio, pensa alla situazione nell’Italia a lui contemporanea, dove “non stanno senza guerra / li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode / di quei ch’un muro ed una fossa serra”, e cioè si combattono fra di loro non solo gli italiani dei diversi territori, ma gli abitanti di una stessa città; quindi esclama:

Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di provincie, ma bordello!

 

Quell’anima gentil fu così presta,

sol per lo dolce suon de la sua terra,

di fare al cittadin suo quivi festa;

 

e ora in te non stanno sanza guerra

li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode

di quei ch’un muro e una fossa serra.

 

Cerca, misera, intorno da le prode

le tue marine, e poi ti guarda in seno,

s’alcuna parte in te di pace gode.

 

Che val perché ti racconciasse il freno

Iustinïano, se la sella è vòta? (riordinò tutte le leggi romane nel Corpus iuris civilis)

Sanz’esso fora la vergogna meno.

 

Ahi gente che dovresti esser devota,

e lasciar seder Cesare in la sella,

se bene intendi ciò che Dio ti nota,

 

guarda come esta fiera è fatta fella

per non esser corretta da li sproni,

poi che ponesti mano a la predella. (la parte della briglia attaccata al morso)

 

O Alberto tedesco ch’abbandoni (d’Austria, eletto imperatore nel 1298, non venne mai in Italia)

costei ch’è fatta indomita e selvaggia,

e dovresti inforcar li suoi arcioni,

 

giusto giudicio da le stelle caggia

sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto, (lo stesso Alberto fu ucciso e suo figlio Rodolfo morì prematuramente)

tal che ’l tuo successor temenza n’aggia! (riferimento ad Enrico VII di Lussemburgo, che 1310 scese in Italia, ma morì qualche anno dopo)

 

Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto, (Rodolfo d’Asburgo)

per cupidigia di costà distretti, (dei possedimenti in Germania)

che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto.

10)                      Qui l’accusa è agli uomini di Chiesa – non è nominato specificamente il Papa – ma l’accusa più dura e nominativa è all’Imperatore che viene meno al suo dovere di far valere ovunque quel potere temporale che gli è stato affidato direttamente da Dio.

La donazione di Costantino. Contro Bonifacio VIII

11)                      Il potere temporale esercitato abusivamente dal Papa mette in campo la famosa questione della donazione di Costantino. Era questo l’atto, ritenuto autentico, con cui l’imperatore Costantino, al momento di trasferire la sua sede a Bisanzio, avrebbe donato al papa Silvestro I, in segno di gratitudine per averlo guarito dalla lebbra, la giurisdizione su Roma. Quell’atto era un falso, come dimostrò Lorenzo Valla nel 1400 con una accurata analisi filologica. Ma nell’età di Dante non se ne metteva in dubbio l’autenticità. E Dante più volte indica in quell’atto l’inizio della degenerazione della Chiesa.  

12)                      Nella bolgia dei simoniaci (sono coloro che hanno approfittato della propria carica religiosa per trarre guadagno economico), Dante si avvicina alla buca dove è infilato a testa in giù il papa Nicolò III.[1] Nella buca, sotto Nicolò, ci stanno altri papi e costui, al sentire la voce di Dante, crede che sia arrivato papa Bonifacio VIII a farlo cadere di sotto e sostituirlo nella buca. In realtà Bonifacio VIII era ancora vivo e Dante autore, con questa trovata, ne approfitta per profetizzare la dannazione per quel papa. E Dante personaggio, chiarito l’equivoco, rivolto a Nicolò III si lancia in una dura requisitoria contro il peccato di simonia, quindi conclude (Inf. XIX, 112-117):

Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;

e che altro è da voi a l’idolatre,

se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? (voi adorate ogni oggetto prezioso, mentre l’idolatra uno solo – con  allusione forse al vitello d’oro, adorato dagli ebrei durante l’esodo)

 

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,

non la tua conversion, ma quella dote

che da te prese il primo ricco patre!".


La donazione di Costantino. La visione nel Paradiso terrestre

13)                      Ma ancora la donazione di Costantino come origine della corruzione della Chiesa è rappresentata nella visione cui Dante, in presenza di Beatrice, assiste nel Paradiso terrestre. C’è un carro che rappresenta la Chiesa e c’è un’aquila, che rappresenta l’Impero, che dapprima colpisce violentemente il carro (e questo indica le persecuzioni che la Chiesa dovette subire nei primi tempi da parte dell’Impero), ma successivamente l’aquila ritorna (Pg. XXXII, 124-129):

Poscia per indi ond’era pria venuta,

l’aguglia vidi scender giù ne l’arca

del carro e lasciar lei di sé pennuta;

 

e qual esce di cuor che si rammarca,

tal voce uscì del cielo e cotal disse:

"O navicella mia, com’ mal se’ carca!".

 

14)                      Quelle penne lasciate dall’aquila rappresentano appunto la donazione di Costantino, per cui la voce di Dio che proviene dal cielo se ne lamenta. E infatti, nella visione che continua, quelle penne determinano una trasformazione mostruosa del carro-Chiesa, finchè compare all’interno del carro quella che Dante chiama “una puttana sciolta”, cioè sfrontata, senza ritegno (rappresenta la curia romana corrotta), quindi accanto a lei compare un gigante (da identificare con il re di Francia, Filippo il Bello) con il quale “basciavansi insieme alcuna volta”; infine il gigante porta via con sé il carro e la “puttana” (e questo certamente allude al trasferimento della sede papale ad Avignone, ottenuto da Filippo il Bello nel 1305, essendo papa Clemente V).



[1] I simoniaci guardarono solo ai beni della terra invece che a quelli del cielo; ora nella terra sono conficcati e al cielo rivolgono i piedi, sui quali brilla una fiamma come “un’aureola a rovescio”.

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